FONDAZIONE FRATE SOLE, I QUATTRO FINALISTI DEL PREMIO EUROPEO DI ARCHITETTURA SACRA 2017 | PAVIA

Sono quattro i progetti finalisti selezionati all’unanimità dalla Commissione Giudicatrice, quattro vincitori ai quali il prossimo 4 ottobre sarà conferito ex aequo il Premio Europeo di Architettura Sacra, organizzato dalla Fondazione Frate Sole e attribuito ogni due anni a un progetto di chiesa di culto cristiano, oggetto di tesi di laurea magistrale, dottorato e master.

In questa VII edizione hanno vinto le donne, con la polacca Irmina Niewczas, le italiane Lucilla Di Paolo, il gruppo composto da Giulia Drago, Federica Ingegno, Roberta Laera, Valentina Lazzaro, Simona L’Erario e, unico vincitore maschile, Stefano Campanini, che si discosta con il progetto per una chiesa ortodossa.

I quattro progetti vincitori 

Il progetto di Irmina Niewczas, tesi di laurea magistrale in Ingegneria Architettura presso la Lublin University of Technology di Lublino, Polonia (relatore Arch. Agnieszka Klopotowska), si intitola “Hermitage. Prayer Enclave in Suchedniów” e presenta la realizzazione di un eremo, situato all’interno di una cava abbandonata di pietra rossa, nel comune di Suchedniów. L’idea che guida il progetto è ricreare un luogo di ritiro, riflessione e preghiera, che prevede un periodo di dodici giorni da trascorrere in solitudine, nella contemplazione dei Comandamenti e nel rinnovo spirituale. La struttura presenta dodici celle monastiche (dodici erano anche gli apostoli), una cappella e un monastero, spazio da condividere in comune, dove potersi incontrare per gli esercizi spirituali, e che prevede anche una cucina e un refettorio. Alla cappella, un edificio monumentale cubico situato in una conca piena d’acqua, si accede attraverso sentieri che costeggiano i muri di roccia. Mentre le celle, semplici e spoglie al loro interno, per favorire l’introspezione, si riferiscono ai dieci Comandamenti (e ai due Comandamenti dedicati all’amore) e creano un percorso da seguire giorno per giorno. L’eremita si sposta quotidianamente da una cella a quella successiva, dove medita e contempla un Comandamento diverso. Il materiale che domina nella costruzione è il cemento, che riesce nonostante la sua monumentalità a dare leggerezza alle strutture, imperniate sul minimalismo e sul contatto ascetico con la natura circostante. Le architetture si incastrano infatti perfettamente nel paesaggio roccioso, e ne creano un continuum armonico, dove a dominare è il silenzio, fonte primaria per la ricerca di spiritualità.

Il progetto di Lucilla Di Paolo tesi di Master – II livello – per la Progettazione di Edifici per il Culto, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (relatori Arch. Guendalina Salimei, Arch. Stefano Mavilio), si intitola “Complesso Parrocchiale San Vito, Taranto” e prevede la sostituzione di un complesso parrocchiale esistente, malamente concepito e realizzato, sito in zona industriale-militare nella Diocesi di Taranto. Si tratta di un complesso parrocchiale per una popolazione di circa 3000 abitanti, poche ma chiare le necessità: gestire l’attività feriale, quella festiva e quella ordinaria, con l’aggiunta di un campetto sportivo.

Il paesaggio è il primo segno a incidere sul progetto. Elemento caratteristico del luogo – il promontorio di San Vito – è infatti la forte presenza di seminati, che circondano il costruito. Il sistema dei campi, oltre a determinare l’impianto stradale – che si organizza come a seguire vecchi confini catastali – cerca di penetrare il centro abitato e di ricucire le sue parti, segnando in maniera evidente l’impianto planimetrico del nuovo organismo, che ne ripropone linee e giaciture. Secondo tale schema, l’edificio contenente l’aula liturgica con la cappella feriale e la sagrestia, e quello per il salone delle feste, i locali per il ministero pastorale e la canonica, sono tutti chiaramente leggibili all’interno delle direttrici dell’impianto che, oltre a organizzare il costruito, si estende anche alla sistemazione degli spazi esterni, definendone accessi, lastricati e aree verdi, organizzati per linee parallele, come a mimare il solco dell’aratro.

Il progetto si articola in due volumi edilizi e tre livelli. Il primo volume comprende le sole aule liturgiche, le festiva e la feriale; il secondo, collegato all’altro da due brevi gallerie vetrate, è organizzato su tre livelli. Quello inferiore comprende le aule per il catechismo, i servizi relativi e un’ampia corte per la socializzazione e il gioco. Al piano terra ci sono il salone parrocchiale, gli uffici, l’archivio, il locale di preparazione fiori e la sacrestia, mentre al primo piano si situa la canonica. I due volumi sono unificati da una facciata che fa corpo a sé, superando ampiamente la misura dei retrostanti volumi, quasi a occupare tutto il fronte stradale con le sue trasparenze che lasciano filtrare la luce del sole, a intuire il costruito fra brevi squarci di cielo. Il campanile, in pietra locale, completa e rafforza il complesso.

Il progetto realizzato a più mani da Giulia Drago, Federica Ingegno, Roberta Laera, Valentina Lazzaro, Simona L’Erario, tesi di laurea magistrale in Architettura presso il Politecnico di Bari (relatore Arch. Vitangelo Ardito), ha come titolo “Il castello di Rothenfels e la forma dell’edificio sacro: Rudolf Schwarz e Romano Guardini”, ed è volto a individuare i caratteri tipologici e morfologici dell’opera del celebre architetto Rudolf Schwarz sull’architettura sacra, e in particolare sull’area del castello di Rothenfels, promuovendo così la realizzazione di un nuovo edificio sacro. Negli anni venti del ‘900 il teologo Romano Guardini fondò il movimento giovanile “Quickborn” nel castello di Rothenfels, dove incontrò l’architetto Rudolf Schwarz e decise di incaricarlo della sistemazione di tre spazi del castello per attività liturgiche. Dalle fasi della progettazione ha così genesi un differente modo di pensare lo spazio sacro riformato. Il castello di Rothenfels presenta due recinti: uno inclusivo che determina il perimetro del Burg e un secondo che si apre all’infinito in direzione di un’insenatura, che definisce il Vorburg. Il progetto delle giovani laureande tenta di ripristinare il secondo recinto, andando a ridefinire i margini e dando una nuova configurazione al profilo dal fiume Meno. Questo nuovo complesso è definito da una torre circolare, che funge da nartece, e dalla chiesa. L’edificio circolare, per sua natura e posizione, assurge al ruolo di cerniera accogliendo in sé le varie giaciture della corte esterna. Esso ingloba l’antica torre di guardia sul versante settentrionale e parte dell’antico muro di cinta del borgo, chiudendo la corte del Vorburg e aprendo verso la nuova chiesa. All’interno si ha un’inversione delle gerarchie tra gli spazi: la navata bassa è il luogo dei fedeli, la navata alta, che include anche la torre campanaria e una di servizio, diventa il luogo dei presbiteri. La navata alta funge da camera di luce convogliando i fasci luminosi provenienti dalle aperture poste in sommità sul rito. Per questo motivo l’altare si trova tra la navata alta e navata bassa.

Il progetto di Stefano Campanini, tesi di laurea magistrale in Architettura e culture del progetto presso Iuav – Università di Architettura di Venezia (relatore Arch. Roberta Albiero), si intitola “Una nuova chiesa ortodossa per il quartiere Yzmaylovo a Mosca” e nasce da una riflessione intorno ai temi della ricostruzione dello spazio Sacro in Russia. Situato all’interno del quartiere-distretto di Yzmaylovo, il progetto propone un luogo che sia promotore di una nuova sacralità: un nuovo concetto di Chiesa Ortodossa dentro un contesto fortemente urbanizzato. Il piano rialzato su cui si realizza la Chiesa è simile a una piazza, dove il vuoto si contrappone al pieno e questo ne fa un’eccezione nel quartiere periferico a modello residenziale intensivo diffuso, che non possiede piazze nel raggio di diversi chilometri. Il luogo di culto emerge così come unico volume alto all’interno della composizione.

Il verde è promotore del collegamento visivo, concettuale e pedonale tra il bordo dell’intero quartiere e il suo centro, e propone una nuova chiave di lettura del binomio Chiesa-Natura, presente nella tradizione Russa Ortodossa. La luce rappresenta il punto più importante del rituale, e sui diversi volumi sacri sono raffigurati i Santi, gli Angeli e i Martiri. Queste icone riprodotte su supporti semi trasparenti, (vetro serigrafato), brillano nella stanza principale del rituale, partecipandovi, e ne valorizzano la sacralità (come avviene in tutto il Cerimoniale Ortodosso).

La progettazione degli ambienti fa riferimento al modello ortodosso, e in particolare al “tipo” della Chiesa Bizantina a pianta quadrata. La ricomposizione del nuovo programma funzionale è diversa: il volume originale è scomposto nel cubo che è il generatore principale, la camera del culto e gli altri elementi si aggregano tutt’attorno creando una composizione in movimento. Il nartece è introdotto da un muro curvo, estroflesso verso l’ingresso, che comprime e dilata lo spazio nell’accesso alla stanza principale, quella del rituale. Questo spazio, che sta in fronte all’iconostasi (che copre per intero l’apertura absidale centrale in tutta la sua altezza) è il luogo dove il fedele assiste al rituale. La capienza della stanza è di circa 600 persone in piedi (rituale Ortodosso). All’interno si percepiscono i vari volumi che compongono la Chiesa e che si esprimono matericamente in modo astratto, come presenze Sacre. L’abside del santuario riceve luce zenitale e la fa percepire nella stanza attraverso la semitrasparenza delle icone, trasformandole in un oggetto luminoso. Il battistero è rappresentato dall’abside più grande a sinistra dell’iconostasi, e come nel caso dell’abside del coro, sul soffitto ha un lucernario cilindrico. Al piano superiore della chiesa vi è la Cappella dei Nuovi Martiri, e l’affaccio sullo spazio sottostante è mediato tramite un’icona su tutta la parete esposta. Al suo interno è presente una piccola iconostasi e la cappella è illuminata a soffitto da un lucernario. All’ultimo piano vi è un camminamento che consente ai visitatori di percorrere tutto il perimetro della chiesa e di avere una vista privilegiata verso l’esterno e l’interno. Si può godere di una vista ravvicinata del soffitto a volta a crociera che con un unico gesto chiude la sommità dell’edificio.

Il Premio Europeo di Architettura Sacra è organizzato dalla Fondazione Frate Sole, patrocinato da Enti locali e Istituti nazionali ecclesiastici e culturali come l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti della Provincia di Pavia, la Diocesi di Pavia, il Comune di Pavia, l’Università degli Studi di Pavia, l’Ufficio Nazionale dell’Edilizia di Culto, e sponsorizzato dalla Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia e dalla Fondazione Cariplo.



Per info: www.fondazionefratesole.org

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