L’ADEGUAMENTO LITURGICO DELLA CHIESA DI SANTA LUCIA DELLE SPIANATE

La ricostruzione della chiesa parrocchiale di S. Lucia delle Spianate in Diocesi di Faenza (“de splanata” nei do­cumenti antichi) risale agli anni 1939-1941 e non evidenzia alcun elemento di pregio stori­co-artistico: un tradizionale impianto a croce latina a navata unica culminante nel presbi­terio semicircolare. Alla rimozione dell’altare maggiore, eseguita nel 1977, fece seguito un’incongrua sistemazione dei vari poli litur­gici. Essi, realizzati in legno, metallo e tessu­to, avevano determinato un assetto presbi­terale affollato da una molteplicità di “segni” fra loro molto eterogenei. Lo spazio fu ulteriormente appesantito in seguito al posizionamento dell’armonium e delle sedute dei coristi in fregio all’emiciclo absidale.

Il nuovo parroco don Tarcisio Dalle Fabbriche, assieme alla comunità, ha quindi deciso di abbandonare questa confusa compagine al fine di ottenere un presbiterio ordinato e rispon­dente alla lettera e allo spirito della riforma liturgica del Concilio Ecumenico Vaticano II. Le linee-guida che hanno ispirato il progetto, redatto dall’architetto Giorgio Gualdrini, sono da ricondurre alle essenziali ma elo­quenti indicazioni della Costituzione concilia­re Sacrosanctum Concilium: “I riti splendano per nobile semplicità […] e si ricerchi piutto­sto una nobile bellezza che una mera son­tuosità” (SC, 4 Dicembre 1963, nn.34, 124).

Previo spostamento dell’armonium e del coro nella cappella sinistra del transetto, ­resa fruibile tramite la rimozione dell’anoni­ma “mensa”, il nuovo assetto risulta imperniato sulla realizzazione di una piastra pavimenta­le in marmo di San Giorgio al posto della pre­cedente in marmette di graniglia.

I differenti trattamenti delle superfici lapidee connotate da terrose cromie hanno permesso di unifi­care l’altare, l’ambone, la presidenza e il tabernacolo, riservando ovviamente all’al­tare un ruolo primario sottolineato dalla sua perfetta assialità rispetto all’aula. Il principale polo della celebrazione liturgica, che la co­munità parrocchiale ha voluto nella forma di un’ara frontalmente dilatata, è costituito da un blocco marmoreo leggermente sollevato su uno zoccolo in “travertino noce”.

L’am­bone, posto alla sinistra dell’altare, è rivolto verso all’assemblea dei fedeli e abbraccia i gradini del presbiterio sottolineando così il punto di cerniera fra naós e hierón (le paro­le greche che identificavano la “navata” e il “santuario”). Anch’esso realizzato in marmo di san Giorgio e travertino noce, si presenta con una volumetria conforme alla rilevanza liturgica del “luogo della proclamazione del­la Parola”. La scatolarità che lo caratteriz­za risale a modelli antichi come quelli degli Amboni dell’Epistola nelle basiliche di san Lorenzo fuori le mura, di san Clemente e di santa Maria in Cosmedin a Roma: un geo­metrico recinto bordato su tre lati da semplici balaustre. Su quella centrale sta appoggiato il leggio che regge il Libro delle Scritture.

La sede del celebrante posta a destra dell’al­tare e leggermente arretrata rispetto ad esso è risolta attraverso un’essenzialità volumetri­ca priva di ogni aggettivazione formale: si trat­ta infatti di una semplice seduta con piccolo schienale. La comunità parrocchiale ha poi voluto aggiungere due sedili per i ministranti. La riserva eucaristica conferma invece l’as­sialità dello spazio liturgico. Il tabernacolo – ­come il grande crocefisso in ceramica dello scultore Angelo Biancini donato dalla Dio­cesi di Faenza alla parrocchia – è posto al centro dell’emiciclo perimetrale dell’abside. Questa localizzazione del tabernacolo, cal­deggiata dal parroco, raccoglie l’indicazio­ne contenuta nell’esortazione apostolica di papa Benedetto XVI Caritatis Sacramentum (2007) che recita: “II luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente indivi­duabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa”.

Tutti i principali “poli liturgici” sono lavorati “a niello”, giocando sulle bi­cromie terrose del marmo di san Giorgio e del travertino noce in sintonia con le tinte pavimentali e parietali della chiesa. Nel progetto generale di adeguamento litur­gico l’architetto Gualdrini ha inoltre cercato di perseguire un’eco­nomia espressiva che tuttavia non rinuncia a esprimere, seppur con voce pacata, alcuni segni della fede cristiana:

– La Croce, intagliata nel blocco dell’alta­re, affiora dallo zoccolo scuro incuneandosi dentro l’asta verticale fino a piegare la superficie della lastra marmorea.

  • L’A e l’Ω (il principio e la fine) affiancano la lieve fenditura verticale dell’ambone dalla quale sorge il piano di posa delle Scritture.
  • Il “cristogramma” e i “segni dell’eucarestia” (l’uva e la spiga) segnano la formella ce­ramica del tabernacolo e la doppia stele marmorea leggermente aper­ta a libro.

Le comparazioni fra le immagini del presbiterio prima e dopo l’intervento restituiscono bene il senso di un progetto ispirato a “nobile semplicità”

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