Alla ricerca di una simbologia per l’oggi: la Chiesa di San Francesco e Santa Chiara a Castellaneta

di Paolo Portoghesi

La chiesa di San Francesco e Santa Chiara a Castellaneta è il punto di arrivo di una ricerca iniziata nel 1968 con la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno e portata avanti nella chiesa di Santa Maria della Pace a Terni, nelle cappelle del Convento delle Suore Maestre e dell’Ospedale a Vicenza, nella cappella del santuario di Santa Bertilla a Treviso, nelle chiese del cimitero di Cesena e dei Santi Cornelio e Cipriano a Calcata. Due sono i temi centrali della ricerca: il rapporto dell’edificio con la luce e l’intenzione di rendere omaggio al santo al quale la chiesa è dedicata.

Il tema della luce è tipico dell’architettura religiosa, per il valore che questa realtà immateriale acquista quando il pensiero si rivolge verso la divinità. Per i cristiani però la luce è qualcosa di più di un’evocazione del mistero. Nel vangelo di S. Giovanni si riferisce quanto avvenne nel contesto della festa ebraica delle luci: Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo; chi segue me , non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Nella prima lettera di Giovanni si legge poi: “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù suo figli ci purifica da ogni peccato”. Nella lettera agli Efesini, san Paolo esorta i fedeli a comportarsi come “figli della luce” poiché “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”.

Il mio intendimento nella progettazione della chiesa di Castellaneta è stato di esortare chi entra nello spazio ecclesiale a percepire la luce come qualcosa su cui riflettere, ad accorgersi  del suo valore simbolico così chiaramente esplicitato nel Nuovo Tetamento e della forza di attrazione che esercita su di noi indicandoci dove dirigere lo sguardo e dove incamminarci.

Nella chiesa di Castellaneta la luce entra dall’alto attraverso un lucernario, e dai lati, in modo indiretto, attraverso due grandi asole orizzontali non visibili dall’interno, e al centro dell’abside attraverso una fessura dove, sopra la concavità, si congiungono le due pareti  concave che racchiudono lo spazio della chiesa. Immagine visibile dell’invisibile presenza divina, la luce permea in questo modo tutto l’involucro parietale, spezzandone l’inerte continuità e, nello stesso tempo, arrivando dall’alto attraverso il lucernario e penetrando dallo squarcio che caratterizza il presbiterio, dà all’impasto di colori della parete di fondo un’animazione drammatica che allude al mistero dell’incarnazione. Lo squarcio allude al “cielo squarciato” della liturgia e al mistero della  Resurrezione.

Fonti di luce naturale sono presenti anche nella cappella del battistero e in quella dell’adorazione eucaristica dove si trova la custodia del SS. Sacramento.

La dedica a San Francesco, unita a quella a S. Chiara, pone l’accento sulla scelta della Chiesa di essere e di mostrarsi come Chiesa dei poveri: scelta confermata da papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato e che non potrà non condurre in futuro a una svolta decisiva verso la semplicità e l’umiltà nel campo dell’architettura sacra. Così, a Castellaneta, il riferimento tipologico è alle chiese degli Ordini Mendicanti, caratterizzate dalla configurazione interna come sala e dalla copertura con travi di legno a vista. Per esprimere, all’interno di questa tipologia, il valore dell’innovazione liturgica conciliare si è voluto alludere, con la curvatura delle pareti, all’importanza  del carattere comunitario dei riti, senza però rinunciare allo sviluppo longitudinale che esprime l’orientamento verso altare e ambone, e il senso del popolo di Dio in cammino.

In ossequio alle recenti indicazioni della Conferenza Episcopale Italilana si è voluto dare piena evidenza ai Sacri Segni rendendone subito percepibile la collocazione, non appena si entra nella chiesa . Il fonte battesimale, la cappella dell’adorazione, l’ambone, l’altare, la sede, il cero pasquale, il coro,  appaiono come poli di un sistema policentrico  in attesa di diventare, attraverso la liturgia, volta a volta protagonisti dell’azione cultuale. Vicino all’ingresso si apre lo spazio dedicato al sacramento della riconciliazione .

Per quanto riguarda l’impostazione generale dell’organismo, la chiesa di Castellaneta è caratterizzata da un’evidente intenzione simbolica che si esprime nella scelta del tema geometrico : due segmenti di cerchio di eguale raggio, accostati a formare una sagoma simile a quella di una nave e di una mandorla. Entrambe queste forme, la nave e la mandorla, hanno rivestito un grande ruolo nell’arte e nell’architettura cristiana.

Per quanto riguarda la sagoma a mandorla: la si ritrova spesso come cornice della figura del Cristo; in quanto composta di una scorza e di un seme infatti può rappresentare l’essenziale ospitato in un involucro, ovvero la natura divina che si trova nella natura umana. Adamo di San Vittore considera la mandorla come  “mistero della luce”, duplicità tra l’oggetto della contemplazione e il segreto dell’illuminazione interiore. Numerosissime sono le illustrazioni di codici e libri, e i temi iconici di tante chiese del passato, in cui la figura geometrica della mandorla è posta come rappresentazione della Chiesa quale corpo mistico del Redentore.

La connotazione della nave, che a Castellaneta si evidenzia già dall’esterno, ha la sua motivazione nella tradizione che definisce “nave” o “navata” lo spazio principale delle chiese, a qualunque tipo appartengano, e ha un solido punto d’appoggio nella patristica e nella letteratura cristiana.

Alla simbologia della nave dedica un intero capitolo Jean Danièlou nel libro intitolato “I simboli cristiani primitivi”, dal quale  estraiamo alcune citazioni illuminanti: “Il corpo intero della Chiesa somiglia a una grande nave, che trasporta in una violenta tempesta uomini di provenienza molto diversa. Segue poi una lunga allegoria, in cui Dio è il proprietario della nave, Cristo è il pilota, il vescovo è la vedetta, i presbiteri sono i marinai, i diaconi sono i capi rematori, i catechisti sono gli aiutanti. L’allegoria, ispirata alle similitudini marittime, continua con la comparazione fra il mare agitato e le tentazioni del mondo, i passeggeri e i diversi ordini della Chiesa”.

Nel testo liturgico delle Costituzioni apostoliche si legge: “Quando riunisci la Chiesa di Dio, sii vigile, come il pilota di una grande nave, affinché le riunioni si svolgano con ordine. Prescrivi ai diaconi, come a dei marinai, di indicare il loro posto ai fratelli come a dei passeggeri. Che la Chiesa sia rivolta verso l’Oriente, come si conviene a una nave… Che i portieri stiano all’ingresso degli uomini per custodirli e le diaconesse all’ingresso delle donne, come degli aiutanti”.

Nel “Trattato sull’Antecristo” di Ippolito di Roma si legge: “Il mare è il mondo. La Chiesa, come una nave, è scossa dai flutti, ma non sommersa. Ha infatti con sé un pilota esperto, il Cristo. Al suo centro ha il trofeo vincitore della morte, come se portasse con sé la croce del Cristo. La sua prua è verso l’Oriente, la sua poppa verso l’Occidente, la sua carena verso il mezzogiorno. Ha come timone i due Testamenti. Le sue funi sono tese come la carità del Cristo e stringono la Chiesa. Essa ha con sé delle riserve di acque vive, come il bagno della rigenerazione. Ha dei marinai a destra e a sinistra, come degli angeli custodi, che governano e proteggono la Chiesa. I cavi che collegano l’antenna alla cima dell’albero sono come gli ordini dei profeti, dei martiri e degli apostoli che si riposano nel regno del Cristo”.

La similitudine della nave si ritrova anche nel “De Baptismo” di Tertulliano: “Del resto, la barca prefigurava la Chiesa che, sul mare del mondo, è scossa dalle onde delle persecuzioni e delle tentazioni, mentre il Signore nella sua pazienza sembra dormire, fino al momento ultimo in cui, svegliato dalla preghiera dei santi, Egli padroneggia il mondo e ridona la pace ai suoi”.

Le connotazioni simboliche per il progetto della chiesa di Castellaneta si manifestano nelle scelte compositive che si uniscono a quelle funzionali, seguendo il filo conduttore  dell’unire all’orizzontalità dello spazio comunitario la verticalità della trascendenza espressa dalla luce .

Uno scritto  di Benedetto XVI manifesta compiutamente la direzione in cui si è svolta la mia ricerca, anche se sono consapevole di aver ottenuto un risultato molto inferiore alle intenzioni:

“Il costruire dell’uomo, infatti, mira alla stabilità, mira alla sicurezza, alla patria, alla libertà. È un ribellarsi contro la morte, contro l’insicurezza, contro la paura, contro la solitudine. Per questo il desiderio di costruire trova il suo pieno compimento nella costruzione del tempio: quella costruzione in cui egli invita Dio a entrare. Il tempio è l’espressione del desiderio dell’uomo di avere Dio come coinquilino; di poter abitare presso Dio e di sperimentare così la maniera perfetta dell’abitare, la comunione perfetta, che bandisce per sempre la solitudine e la paura.

“Dio costruisce la sua casa, ciò significa che essa non si realizza dove gli uomini vogliono esclusivamente da soli progettare, da soli riuscire, da soli produrre. Non si realizza laddove conta unicamente il successo e tutte le «strategie» vengono misurate in base al successo. Non si realizza laddove gli uomini non sono disposti ad aprire spazio e tempo della loro vita a Lui; non si realizza laddove gli uomini costruiscono contando soltanto su se stessi e in vista di se stessi. Dove però gli uomini si lasciano impegnare per Dio, là essi trovano il tempo per Lui e là si crea anche lo spazio per Lui. Allora essi possono osare il passo verso l’avvenire: rappresentare nell’oggi il dimorare di Dio con noi e la nostra riunione per merito suo, che ci rende fratelli e sorelle in un’unica casa. Allora la disponibilità alla semplicità diventa naturale e ugualmente si riconosce il diritto alla bellezza, alle cose belle. Anzi, solo in una tale spiritualizzazione del mondo in vista del Cristo venturo emerge veramente il bello nella sua forza trasformatrice e consolante. E si rivela una cosa sorprendente: la casa di Dio è la vera casa degli uomini. Diventa addirittura tanto più vera casa degli uomini quanto meno vuol esserlo, cioè quanto più è stata eretta semplicemente per Lui”.

ALBUM

Chiesa di San Francesco e Santa Chiara a Castellaneta

Foto di:  Arch. Paolo Portoghesi e Giovanna Massobrio

RIFERIMENTI

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