La luce, colore del desiderio.
Percorsi tra arte e architettura, cinema e teologia, dall’Impressionismo a oggi
Dopo avere compiuto in un testo precedente, La luce splendore del vero (2018), un viaggio dall’età paleocristiana al barocco, il seguente libro prosegue l’indagine sulla luce dall’Impressionismo ai nostri giorni. La novità del volume consiste nel fatto che traccia un percorso interdisciplinare sub specie lucis tra arte, filosofia, teologia, architettura, fotografia e cinema. Con un’attenzione particolare ad artisti come Monet, Cézanne, Malevich, Kandinsky, Rothko, Newman, Klein, Fontana, Flavin, Turrell fino alle ricerche più recenti di Simpson, Frisch, Frani, Mega… il testo traccia una «storia» della luce, da quella fisica dell’Impressionismo, in cui la luce è liberata nella sua potenza espressiva attraverso la scomposizione nei colori dello spettro cromatico, alle più attuali sperimentazioni «tecnologiche» di artisti contemporanei. Il percorso artistico s’intreccia inoltre con l’architettura sacra nel Novecento, indagando alcuni tra gli esempi più significativi di architettura religiosa di architetti come Wagner, Schwarz, Steffann, Le Corbusier, Ando, Zumthor, Botta, o interventi nelle chiese di autori come Matisse, Soulages, Richter e Spalletti. Il volume si concentra infine sulla fotografia e sul cinema. È questo un ideale approdo del viaggio della luce: se infatti l’Impressionismo giunge alla scomposizione della luce dopo secoli di ricerche sulla relazione luce/colore, la fotografia e il cinema sono infatti «scritture» di luce. La luce diventa il medium stesso dell’opera.
Tuttavia, quale ruolo gioca la luce nella contemporaneità? Tutta la tradizione cristiana associa la simbolica della luce al divino. Dagli sfondi dorati dei mosaici bizantini alla luce colorata delle vetrate gotiche, per giungere ai luminosi sfondati barocchi in cui sono celebrati il Nome di Dio, la luce trinitaria o la gloria dedicata al trionfo di un santo, la luce è da sempre testimonianza di una luce trascendente che dall’eternità del tempo scende nel nostro mondo, per avvolgere la storia dell’uomo, riscattandola e trasfigurandola. Nel Novecento, accade tuttavia qualcosa di rivoluzionario. In concomitanza con un processo di secolarizzazione per cui l’orizzonte di Dio si allontana sempre più dalla storia umana, la luce divina della tradizione non illumina più la realtà dell’uomo, non la avvolge più come in un abbraccio, ma si fa «materia» stessa dell’opera. La luce diventa protagonista. Non solo. La luce metafisica e teologica dell’arte bizantina, rinascimentale o barocca diventa luce artificiale. È la luce elettrica. Sarà questa una caratteristica fondamentale delle ricerche artistiche del XX secolo.
Certo, conosciamo molto bene i «tagli» di Fontana, in cui la tela squarciata si fa «scultura», ma non sempre ricordiamo come gli Ambienti spaziali che l’artista italo-argentino realizza dal 1949 fino alla sua morte, alcuni dei quali in collaborazione con un’altra grande artista recentemente scomparsa a Milano, Nanda Vigo, aprono a una serie di straordinarie ricerche, punto di partenza per le installazioni contemporanee, a iniziare dalle stanze di Dan Flavin a Villa Panza di Biumo a Varese e che saranno poi utilizzate anche nell’arte sacra, come nella Chiesa Rossa di Milano. Ogni concezione tradizionale dello spazio nell’arte appare superata. Non siamo più davanti a una rappresentazione tradizionale, come accade quando ci troviamo di fronte a un’icona o a un quadro del Rinascimento, ma siamo nella rappresentazione, fatta di luce colorata. Quando si entra nello spazio/ambiente, lo spettatore perde l’orientamento, è costretto a prendere consapevolezza di se stesso, si chiede chi sia, verso dove vada. Se l’artista del Rinascimento aveva scoperto la percezione sensibile, attraverso la quale restituiva sulla tela l’immagine del proprio mondo, ponendo così le basi per la scoperta della fotografia, Fontana ci accompagna invece in un inedito cammino di appercezione, in una sorta di «percezione della percezione».
Come nelle straordinarie installazioni di aria densa colorata di James Turrell, nelle quali ogni punto di riferimento sembra annullato. Abbiamo l’impressione di entrare in uno spazio senza immagini, in un immenso monocromo. E quando attraversiamo i suoi Ganzfeld camminiamo a tentoni, con le mani in avanti, per paura di cadere, in quanto non vediamo nulla davanti a noi. Siamo in un «vuoto pieno». Se l’orientamento spaziale dà voce al desiderio dell’uomo, questa a-direzionalità sembra incarnare la fine di ogni tendere umano verso qualcosa. L’opera di Turrell sarebbe simbolo dell’uomo contemporaneo di fronte al non senso del mondo?
Nel libro, l’autore s’interroga continuamente su come il Novecento abbia interpretato la natura della luce. Di fatto, con la fine dell’età barocca, la luce, da sempre simbolo del divino, se non è più riconosciuta e identificabile simbolicamente col Dio cristiano, allude a una continua e sofferta ricerca di senso, al desiderio di riconoscere una direzione per identificare un approdo, un orizzonte di significati. Nella luce, l’uomo contemporaneo cerca coordinate di senso, grazie alle quali riconoscere un cammino. Tuttavia, la luce non è più data, come nel passato, ma è ricercata, facendosi «colore» del desiderio umano di vivere una vita piena e compiuta. È questo un tema che attraversa tutta la nostra tradizione estetica, dall’arte bizantina in cui le figure vengono dalla luce, a Caravaggio, in cui le figure vengono alla luce da un fondo oscuro e tenebroso. Come mostrano la fotografia e il cinema, in un mondo che ha conosciuto la luce tragica e inquietante sprigionata dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki, la luce continua a fare venire alla luce i personaggi della nostra storia, incarnando il desiderio dell’uomo di lasciarsi interrogare dal segreto del mondo, affinché la realtà sia riconosciuta nella sua verità e nella sua bellezza. La luce esprime infatti il desiderio dell’uomo di sentirsi e di sapersi cercati dalla luce, come nei film di Andrej Tarkovskij, dove il regista si assimila a un pittore di icone, in cui il punto di fuga non sta sul fondo dell’orizzonte, come nella prospettiva centrale tradizionale, ma nell’invisibile fuori dell’immagine, per venirci incontro, per cercarci, per illuminarci, come da un fondo dorato bizantino, simbolo del divino.
In breve, il volume, attraverso otto percorsi interdisciplinari, accompagna il lettore alla contemplazione di una luce che racconta il mistero più profondo dell’uomo contemporaneo. Un viaggio che aiuta a capire la contemporaneità nelle sue diverse espressioni artistiche e architettoniche, secondo un punto di vista che cerca di indagare la ricerca umana nel suo desiderio rivolto a un compimento, a una pienezza di senso.
Andrea Dall’Asta
vedi anche