L’arte tra rifugio ed inquietudine- City of Refuge III: Berlinde De Bruyckere alla Basilica di San Giorgio Maggiore

Berlinde De Bruyckere: City of Refuge III
Abbazia di San Giorgio Maggiore 

20 April – 24 November 2024

Collateral Event of the 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia

 Curatorial Team: Carmelo A. Grasso, Ory Dessau, Peter Buggen

 

Abbazia di San Giorgio MaggiorePhoto: Lorenzo Palmieri
Abbazia di San Giorgio Maggiore Photo: Lorenzo Palmieri

 

Coloro che, da oggi fino a Novembre, dovessero visitare la mostra di Berlinde De Bruyckere negli spazi della Basilica benedettina di San Giorgio Maggiore a Venezia noterebbero tra i vari scomparti del Coro Maggiore, raffiguranti la vita del santo di Norcia e realizzati nel XVI secolo dall’intagliatore fiammingo Albert van der Brulle, un pannello maggiormente illuminato rispetto agli altri. La scena mostra il corpo nudo di San Benedetto trafitto da rovi e ortiche, tra i quali, la storia dice, si fosse gettato per resistere alle tentazioni carnali che lo attanagliavano, a tal punto che il piacere si trasformò in dolore “[…] e il bruciore esterno, imposto volutamente per pena, spense quel fuoco che, prima nutrito dall’ardore dei pensieri carnali, bruciava dentro la sua anima…”, come racconta Papa Gregorio Magno nei suoi Dialoghi.

Questa immagine  di San Benedetto insieme con l’architettura di Andrea  Palladio per il complesso della chiesa che si affaccia sul bacino di San Marco, nonchè la storia e le suggestioni di Venezia, e la cronaca contemporanea, sono parte del collage di riferimenti e ispirazioni che l’artista belga ha tessuto assieme nella mostra pensata appositamente per questi spazi come evento collaterale della 60a  Biennale d’arte della città lagunare.

Su invito della Benedicti Claustra Onlus, il ramo non-profit della Comunità Benedettina dell’Abbazia veneziana con il compito di recuperare e promuovere il dialogo tra Chiesa e Arte Contemporanea, De Bruyckere ha infatti ideato, realizzato e assemblato nuove opere e recenti sculture che, come spiega  Carmelo A. Grasso, Direttore e Curatore Istituzionale della Benedicti Claustra Onlus, generano un “audace contrappunto tra le opere e lo spazio sacro della Basilica, da sempre luogo di Accoglienza e Rifugio”.

Riecheggiando una celebre canzone di Nick Cave (ma anche , a nostro parere, il tema della Biennale che si svolge in questi mesi: Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere) la mostra, prendendo il titolo  City of Refuge III,  parte dal presupposto che l’arte -e di conseguenza gli spazi che essa abita- possano essere interpretati come terreno di accoglienza, rifugio, pausa. Se, come il testo della canzone  ribadisce, i visitatori e le visitatrici sono dei fuggitivi e arrivano di corsa (“You better run, You better run to the City of Refuge”) all’interno degli spazi sacri dell’Abbazia da un mondo esterno instabile e a volte minaccioso, essi non devono tuttavia aspettarsi di entrare in un territorio che rinnega l’esterno e presenta una realtà edulcorata,  ma al contrario, definendo uno spazio sicuro per favorire in un certo qual modo la concentrazione, l’arte secondo Bruyckere permette di portare alla luce i grandi temi che innervano l’Umanità, i contrasti e le assenze di senso che la agitano, gli interrogativi che le permettono di dialogare e crescere. Di andare in profondità.

“[…] Voglio toccare le persone laddove hanno paura di essere toccate. Affrontare quello che non riescono a descrivere con le parole”. (Berlinde De Bruyckere).

La poetica di De Bruyckere, pertanto, immagina le opere d’arte come ponti che tengono insieme temi apparentemente distanti, opposti e non di facile trattazione, come esemplifica l’esperienza tra piacere e dolore, calore della tentazione carnale e fuoco della purificazione spirituale che vive Benedetto da Norcia nelle figure intagliate nel legno del Coro Maggiore. Visitare l’Abbazia di San Giorgio Maggiore e soffermarsi ad osservare le opere al suo interno, quindi, può essere un’esperienza catartica, di inquietudine e di meraviglia. I riferimenti e le suggestioni, i materiali e le tecniche utilizzate per la realizzazione delle opere sono tali da costringerci ad andare oltre le apparenze: ciò che sembra pelle animale in realtà è una coperta, ciò che sembra legno è in realtà cera, ciò che dovrebbe essere fatto per aprirsi è cucito, ciò che ha forme contemporanee affonda le proprie radici in un linguaggio millenario ma ci parla della realtà dell’oggi.

Appena varcata la soglia della Basilica, infatti, si viene accolti da i gruppi scultorei degli Arcangeli, grandi figure ammantate in precario equilibrio sulla punta dei piedi sopra ad alti piedistalli metallici costruiti ad hoc o composti da oggetti di riuso che l’artista ha raccolto e conservato fino al momento più opportuno per il loro utilizzo. Alle loro spalle dei grandi specchi coperti da stendardi richiamano i grandi arazzi cerimoniali della liturgia e fungono al tempo stesso sia da schermi su cui si stagliano le figure che da moltiplicatori dell’architettura dello spazio sacro.

Non si è certi se gli Arcangeli stiano atterrando all’interno della chiesa o si stiano librando in volo, i loro corpi di cera velati da grandi coperte li rendono figure enigmatiche, non del tutto umane ma decisamente meno divine dei loro corrispettivi scolpiti sugli altari, e rimandano così alla loro funzione di connessione tra il mondo materiale e quello celestiale, “ancorando fermamente la dimensione celeste nel qui ed ora”.

Un confine diverso, quello tra naturale e artificiale, organico e fatto dall’uomo, è quello che viene esplorato nella tappa successiva dell’esposizione, dove tronchi d’albero fusi in cera sono adagiati su tavoli per la saldatura come fossero corpi sopra a tavoli autoptici ed entrano così in dialogo/scontro con gli elementi lignei della Sacrestia, creano uno scenario quasi post-apocalittico da disastro naturale nella scansione ordinata, razionale e raccolta dello spazio in cui i monaci si preparano per le funzioni religiose.

Nel lungo corridoio delle gallerie del Monastero ritroviamo infine l’iconografia del pannello della vita di San Benedetto, scomposta e interpretata in una serie di grandi teche murali che diventano metafora della pratica artistica di De Bruyckere. Sembrano arrangiamenti di rami spezzati, pelli scorticate o parti anatomiche trafitte da chiodi, ma il materiale ne contraddice la natura e il modo in cui vengono esposti, come reliquie, li carica di un senso che attraversando il territorio del sacro approda in quello del quotidiano e del contemporaneo, dove il significato altro è conferito dall’artista caricando gli oggetti di evocazioni e di ricordi di una vita accennata.

Se in conclusione tornassimo sui nostri passi, nel Coro Maggiore dove questo viaggio ha avuto inizio, potremmo ammirare sotto i pannelli intarsiati la versione personale di De Bruyckere del manoscritto corale, il libro tradizionalmente usato dai monaci per la preghiera e la cui realizzazione viene richiesta a tutti gli artisti che collaborano ad un progetto espositivo in Abbazia. Esemplificativo di tutto il percorso dell’esposizione e della poetica che è scaturita dallo studio del -e nel- luogo specifico dell’Abbazia, le pagine di carta e cera di questo libro sono cucite assieme alla copertina di cera e peli di animali con un filo d’oro che impedisce di sfogliarlo. Come succede per tutte le opere del percorso di visita, la negazione della sua funzionalità sublima pertanto questo oggetto trasfigurandolo, sia nell’uso e nella veridicità dei suoi materiali che nel suo senso, portandolo in un territorio di ricerca di significato che ci interroga, mettendo in scacco quelle che credevamo essere le nostre convinzioni.

Francesco Menegato

 

Portrait of Berlinde De Bruyckere. Photo: Lorenzo Palmieri

 

 

 

Tutte le immagini: ‘Berlinde De Bruyckere. City of Refuge III’, Abbazia di San Giorgio Maggiore, Venezia, 20 aprile – 24 novembre 2024. Evento collaterale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia © Berlinde De Bruyckere. Per gentile concessione dell’artista e Hauser & Wirth. Foto: Mirjam Devriendt

 

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