Alberto Cavallini
E’stato osservato da più parti che negli ultimi anni lo splendore delle pregevolissime imposte di bronzo che custodiscono la grotta dedicata all’Arcangelo Michele, è stato offuscato da una patinatura scura originata dalle intemperie per l’esposizione delle stesse a tutti i fenomeni atmosferici tipici di una montagna non essendo stata prevista alcuna copertura protettiva, almeno fino a qualche anno addietro, ed anche dall’incuria dei custodi preposti, per quelle mancate e saltuarie puliture, necessarie e indispensabili, per consentire una conservazione efficace del prezioso manufatto.
Una tappa traumatica nelle vicende delle magnifiche imposte bronzee è stata quella raccontataci dal notar Marrera nella Platea del 1678, custodita nell’archivio della basilica micaelica, consistente nella “riparazione o sostituzione dei tavoloni di duro legno ferrati”, prezioso supporto ligneo delle formelle bronzee e ossatura indispensabile per la chiusura e sicurezza della grotta e dell’aula liturgica. In quell’ occasione il “disancoraggio” delle formelle bronzee dal telaio bronzeo che le sorreggeva e dal supporto ligneo che le rendeva saldamente e stabilmente ferme, determinò una conseguente non attenta rimessa in opera, nel battente di sinistra, della sequenza di sei formelle costituenti la seconda colonna dell’opera preziosa.
Ce lo hanno ampliamente documentato i professori Marco Trotta e Gilda Sansone dell’Università di Foggia nell’attento studio pubblicato in Auctorers nostri del 2010 e cioè che le icone bronzee della seconda fila dell’anta di sinistra ebbero“ …al momento della ricollocazione nel loro alloggio, la disposizione originaria invertita nel senso che l’ultima delle sei formelle smontate (l’Angelo che fa strage degli Assiri) fu ritenuta la prima dell’ordine originario e venne quindi ad occupare la cima della lista; la quintultima (Daniele nella fossa dei leoni) trovò luogo nel riquadro successivo; e la quartultima (Il profeta Natan redarguisce Davide) in quello appena seguente. Questa incongruente successione era chiusa dai rimanenti tre pannelli (L’Angelo lotta con Giacobbe; L’Angelo ferma la mano di Abramo, l’Angelo scaccia Adamo ed Eva dal Paradiso… ”.
Anche nel mio studio “Contemplazione delle bronzee porte della basilica di s. Michele arcangelo” del 1992 ho avuto modo di sottolineare come l’allocazione errata della successione delle formelle ha determinato una sviante ed errata lettura iconografica della porta a battenti chiusi, così come insegna la secolare catechesi della Chiesa, e come hanno sottolineato tanti studiosi di arte sacra cristiana; ma soprattutto una successione iconografica svincolata, almeno nell’ordine della lettura “omega” insegnata da biblisti ed esegeti, dal testo sacro.
Le porte di bronzo della basilica di s. Michele in Monte Sant’Angelo sono state fuse in Costantinopoli nell’anno 1076 e donate da Pantaleone di Amalfi, lo stesso ricco signore che offrì qualche anno dopo anche le splendide porte di bronzo della basilica di s. Paolo fuori le mura in Roma, così come con tutta chiarezza appare inciso nella penultima fascia orizzontale:
Hoc opus completum est in regia urbe Constatinopoli adiuvante domino Pantaleone qui eas fieri iussit anno ab Incarnatione Domini millesimo septuagesimo sexto.
Alte m. 3,30 e larghe m. 2,10 le porte presentano un’intelaiatura bronzea punteggiata da numerose borchie di ottone e composte da fasce orizzontali e verticali che incastonano 24 bronzei pannelli, costituenti le pregevoli icone, ammirate da secoli da pellegrini, studiosi, viandanti.
All’altezza della quarta fascia orizzontale le porte sono adornate da sei testine di leone in ottone dalla cui bocca pende un anello. La pregevole opera di arte bizantina è adornata da un bel portale romanico costituito da colonne e pilastri con capitelli a foglie e fiori su cui vi sono archi a pieno sesto che delimitano un timpano, oggi vuoto, e su cui sono incise le parole dell’Arcangelo rivolte al santo vescovo di Siponto e che ricordano che il luogo visitato è un luogo speciale per ottenere il perdono chiesto dal pellegrino:
Ubi saxa panduntur ibi peccata hominum dimittuntur
Haec est domus specialis in qua quaeque noxialis actio diluitur
Molti scrittori e studiosi si sono cimentati nell’ipotesi di supporre o ritrovare qualche traccia dell’autore dimenticando che secondo i canoni iconografici classici, esso è e resterà per sempre ignoto in quanto semplice mezzo usato dalla divina Grazia per trasmetterci e farci risalire attraverso l’opera al Prototipo, la fonte di ogni Luce.
Certamente, esso sarà stato un magister sacerdos che ha voluto offrire una lettura simbolica della storia della salvezza operata da Cristo coadiuvata, come ci dice la sacra scrittura, dal ministero dei santi Angeli sempre pronti a compiere la volontà divina.
La tecnica usata dall’artista iconografo è stata quella della niellatura e dell’ageminatura su lastre di bronzo. I solchi di incisione nel bronzo sono colmati da un cemento colorato di nero, da cui nigellium niello, ma anche da mastice verde, rosso, grigio e turchino-zaffiro che è il colore prevalente. Il lavoro di ageminatura o “taunà” è stato eseguito con una maestria e con una capacità davvero singolare: negli spazi scavati nel bronzo sono stati colati pezzi di argento che vanno a costituire le parti scoperte del corpo – volto, braccia, gambe – delle divine persone raffigurate, dando così un effetto di policromia metallica veramente raffinata e pregevole.
La simbologia cristiana della porta di una chiesa è davvero grandiosa e ricca di significato: la porta, infatti, di un edificio cristiano con il portale annesso che la incornicia e sorregge non è arricchita e splendente solo per un mero fatto estetico; la porta è simbolo – coincidenza tra essenza e apparenza – di Cristo che si è manifestato come la Porta unica attraverso cui il credente entra nei pascoli della vita ed esce per portare ai fratelli la ricchezza del dono ricevuto.
Il simbolo che rappresenta la coincidenza tra il divino e l’umano si caratterizza anche per la sua vicarietà: esso ha l’unica ed esclusiva funzione di presenza del simboleggiato e perché esso sia più adeguato possibile nella sua funzione catechetica viene arricchito dei tratti propri del simboleggiato per far conoscere il divino e per comunicare l’inespresso. Per questo il simbolo è in se stesso la raffigurazione del mistero per cui il simboleggiante è veicolo del simboleggiato. “Symbòlon” unità, comunione, mentre il suo contrario è il “Diabòlon” la divisione, il caos.
I simboli della porta bronzea di Monte Sant’Angelo sono dati dall’argento, metallo prezioso accomunato all’oro; poi dalle pietre preziose che adornano alcuni personaggi; dai colori delle nielllature di significato cosmico – il rosso è l’oriente, il nero il nord, il bianco l’occidente, il verdastro il sud, l’azzurro-zaffiro il luogo di Dio; infine i numeri, dall’uno al 24, dalla divinità unica all’unità della scrittura, alla pienezza non divisibile in schematismi umani.
Ora l’intervento di restauro in atto deve necessariamente essere “pratico” nella sua essenza e rispettoso dell’ integrità biblica della successione delle formelle della porta, offrendo così al termine dei lavori oltre allo splendore originario anche e soprattutto una lettura biblica che ha il suo punto focale nella 8ª formella della porta a battenti chiusi, che è quella della gloriosa Resurrezione, preannunciata dal sacrificio di Isacco del battente di sinistra, così come la liturgia della veglia di pasqua ci fa ripercorrere con i testi biblici.
Se è dovere dell’Ente preposto al patrimonio artistico tutelarlo per consegnarlo al meglio ai posteri, è anche vero che la forza della Parola significata nell’arte richiede innanzitutto fedeltà al simbolo, coincidenza di essenza e apparenza, e non ultimo quel pieno esercizio catechetico della fede viva
che deve essere aiutata a leggere e comprendere. E quanto la ‘Biblia pauperum” abbia svolto nei secoli passati nel campo della trasmissione della fede non sarà mai sufficiente ricordarlo.
Il vescovo della diocesi Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, mons. Michele Castoro, che ha magistralmente sottolineato la via pulchritudinis in occasione di importanti restauri occorsi in diocesi e particolarmente nel seminario del Master in Architettura, Arti sacre e Liturgia della Pontificia Università Europea di Roma, tenutosi proprio a Monte S. Angelo nel maggio 2012, certamente guiderà anche in questa propizia occasione gli attuali custodi del santuario e gli addetti al restauro nel riportare alla contemplazione di credenti e studiosi, nello splendore originario e nella successione biblico-iconografica, quest’opera magnifica, tra le più belle dell’arte bizantina ancora presenti in Italia, che arricchisce il millenario santuario micaelico, scrigno di fede e di arte.