In relazione e complemento al numero 4 di Thema.es, dedicato ai progetti per la cappella universitaria di Pescara, pubblichiamo qui il sunto della tesi di laurea di Flavia Radice presentata al Politecnico di Torino, relatore Andrea Longhi, che ha affrontato a più vasto raggio il tema delle cappelle relative agli atenei. Si evidenziano le diverse collocazioni che la cappella universitaria assume non solo in relazione al “campus”, ma anche in relazione al tessuto urbano: in alcuni casi infatti giunge a sopperire carenze che si riscontrano in quest’ultimo.
«Analogamente alla cattedrale per la città, la cappella per l’università diventa segno e proposta» scrive Sandro Benedetti ragionando sul ruolo della cappella della Divina Sapienza nella prima università di Roma[1]. Ai fenomeni urbanistici, architettonici ed ecclesiali che dal secondo dopoguerra hanno contribuito a mutare il volto delle città italiane, è possibile aggiungere la variabile accademica. Una delle modalità attraverso cui la chiesa può inserirsi nella realtà urbana odierna è infatti il mondo universitario.
Negli anni Sessanta del secolo scorso si registrano simultaneamente diversi fenomeni. Quando la realtà urbana vede l’espansione degli insediamenti e la conseguente domanda di nuovi edifici di culto, l’università italiana è caratterizzata dalla liberalizzazione degli accessi (1969) che trasforma l’università di élite in università di massa[2]. La popolazione studentesca nel giro di vent’anni triplica.[3] L’inadeguatezza dei locali di quasi tutti gli atenei italiani fa emergere la problematica della progettazione e realizzazione di nuove sedi. Secondo quali criteri è avvenuto l’inserimento della realtà accademica all’interno del tessuto urbano? I modelli insediativi dell’università nelle città italiane sono fondamentalmente riconducibili a quattro: l’università accentrata in una zona della città; la dispersione nel tessuto urbano e periurbano di sedi e facoltà; il campus universitario extraurbano; l’università dispersa nel territorio.
Due sono storicamente gli archetipi della possibile università: da una parte la comunità dei sapienti dell’università medievale, occupante nel tempo le sedi via via disponibili nella città senza pretendere di modellare sulla propria attività uno spazio proprio di caratteristiche peculiari; dall’altra la città ideale del sapere (cittadella, eremo, acropoli, arcadia, campus jeffersoniano, città degli studi…), modello anti-urbano, città-altra che sottrae e isola dal rumore e dalla confusione della città esistente, della città vera, il sogno di una cultura pura perché separata dalle contraddizioni dell’azione e della vita quotidiana. Anche quando non eccentrica, comunque separata dal corpo della città, oggetto altro anche tipologicamente, architettonicamente, a segnare più l’autonomia dell’istituzione che la continuità delle relazioni urbane.[4]
Se la dispersione nella città è un fenomeno ampiamente attestato in età medievale mentre il ‘campus urbano’ è questione risalente al periodo rinascimentale, è dagli anni Settanta che anche nel nostro Paese si contrappongono in particolare due modelli di intervento sulla città.[5]
In alcuni contesti si rinsalda il vincolo città-università. Figura emblematica di questa tendenza è l’architetto Giancarlo De Carlo: già a partire dagli anni Cinquanta opera nella città di Urbino, esplorando assetti e tipologie di un centro universitario, saldamente radicato nel tessuto storico[6]. Egli si occupa del restauro e della rifunzionalizzazione di fabbricati esistenti, della progettazione di nuovi edifici, tra cui le residenze studentesche al di fuori della cerchia urbana. Nel caso urbinate la chiesa trecentesca di San Domenico, retta dai Frati Minori, è parrocchia universitaria, ossia una parrocchia ‘senza territorio’, il cui bacino d’utenza coincide con quello dell’università. La sovrapposizione dell’ateneo al tessuto cittadino si verifica quindi anche nella scelta del suo polo spirituale.
De Carlo affronta sperimentalmente anche il tema dell’espulsione dai centri storici delle sedi universitarie. Chiamato nel 1970 per il piano di ristrutturazione dell’Università di Pavia (una realtà più grande di Urbino ma anch’essa inserita nel centro storico) opta per un modello multipolare, trasferendo in periferia la sede delle facoltà tecniche e alleggerendo il centro, senza tuttavia privarlo di una sua connotazione storicamente radicata quale quella universitaria[7]. L’Università di Pavia non dispone di una cappella. Tuttavia i movimenti, le associazioni (FUCI, Comunità di Sant’Egidio..), gli ordini religiosi (Frati Minori,…), i collegi universitari e l’ufficio di pastorale universitaria propongono momenti di preghiera e azioni liturgiche pur non disponendo di un luogo di culto specifico.
Negli stessi anni in cui De Carlo affronta il caso pavese, in alcuni Atenei vengono banditi concorsi di architettura per la progettazione di sedi da collocare ai margini o al di fuori delle città. Si possono citare i concorsi di Firenze nel 1970 e di Cosenza nel 1973. L’architetto Vittorio Gregotti partecipa ad entrambi e vince il secondo, realizzando poi in parte il progetto: un ponte di tre chilometri che solca il paesaggio collinare e strategicamente ancorato ai punti di snodo delle infrastrutture[8]. La cappella dell’Università della Calabria si colloca in uno dei volumi che si affacciano sul suddetto ponte, mimetizzandosi così fra le strutture del campus. Si tratta di un caso in cui è prevalsa la volontà di fornire un servizio religioso in un luogo altrimenti sprovvisto (nessuna chiesa nelle vicinanze) piuttosto che quella di far notare attraverso le forme dell’architettura la presenza di una comunità cristiana.
I due approcci che mettono in relazione l’edilizia universitaria con la realtà urbana ne evidenziano altrettanti che legano la presenza delle cappelle al mondo accademico. Va precisato come a tal proposito esistano due accezioni di ‘cappella universitaria’: una istituzionale, l’altra architettonica. In alcuni documenti relativi all’esperienza dell’Arcidiocesi di Milano[9] vengono messe in evidenza le caratteristiche delle istituzioni deputate alla pastorale universitaria, sottolineando come debbano essere dotate di uno spazio adeguato per i colloqui personali, di un locale per incontri di gruppo e di una cappella per le celebrazioni, da reperirsi all’interno dell’Università o nelle immediate vicinanze. La cappellania, tuttavia, è soprattutto una comunità animata dai cappellani, sacerdoti nominati dal Vescovo che si avvalgono dell’aiuto di collaboratori consacrati e laici volontari.
In Italia i luoghi di culto dedicati alle cappelle riconosciute dall’autorità ecclesiastica[10] nella maggior parte dei casi sono chiese pre–esistenti l’istituzione. Solo per fare alcuni esempi, sono cappelle universitarie le chiese di San Sigismondo a Bologna, Santa Margherita a Trento, San Vigilio a Siena, San Frediano a Pisa, etc. Oltre al già citato caso urbinate, è sede di parrocchia universitaria anche la chiesa di San Giuseppe Artigiano (L’Aquila), elevata da papa Francesco a rango di Basilica minore (20 maggio 2013). Alcune cappelle universitarie trovano spazio in locali appartenenti a ordini religiosi, come l’Oasi di Santa Bertilla, nel cuore dell’ateneo trevigiano, casa delle suore Dorotee. Altre, come quelle dell’ospedale di Catanzaro, del San’Andrea di Roma e del Policlinico Gemelli sorgono all’interno di tali strutture per servire non solo degenti e famigliari ma anche quanti a vario titolo sono legati alle facoltà di indirizzo sanitario. In sostanza, laddove l’università si trova all’interno dell’ambito urbano, la relativa cappella va ad occupare spazi già esistenti, che possono consistere sia in una chiesa architettonicamente autonoma, sia locali all’interno di strutture più ampie.
Il fenomeno dell’ ‘adozione’ di spazi non originariamente destinati alla liturgia interessa anche i campus esterni alle città. Ne sono esempio la cappella del campus di Fisciano (Università di Salerno) che si trova al piano terreno dell’edificio di Lettere, o quella del Politecnico di Bari, dedicata a Maria Sedes Sapientiae e affidata ai i Servi della Carità. Nonostante l’opzione di adeguare al culto degli ambienti scelti all’interno delle città universitarie, in alcuni casi si è avvertita la necessità di costruire ex-novo una chiesa all’interno di complessi urbani o di campus. In Italia sono sostanzialmente tre gli esempi in questo senso.
Il primo riguarda la città di Milano, sede di 7 atenei. Come considerare, da un punto di vista urbanistico, l’università a Milano? Volendo semplificare, si potrebbe identificare come un caso di dispersione, all’interno del tessuto urbano, di tanti complessi universitari urbani, che nel tempo sono venuti ad occupare zone centrali già sedimentate. Negli ultimi decenni, tuttavia, è invalsa tendenza di utilizzare l’università come strumento di riqualificazione delle periferie, e in particolare delle zone industriali dismesse che si volevano riconvertire ad aree urbane.[11]
La diocesi ambrosiana garantisce sostanzialmente una cappella ed un relativo luogo di culto a ciascun ateneo. L’unica costruita appositamente è la sola di San Ferdinando alla Bocconi (fig.3). Fondata nel 1902 come università commerciale dall’omonimo imprenditore tessile milanese, la Bocconi si consolida nei primi decenni del Novecento e, per far fronte a un numero sempre più alto di studenti, nel 1936 matura la decisione di trasferire la sede in un nuovo edificio da realizzare in via Sarfatti. In quest’area, denominata ‘San Celso’ fuori da Porta Lodovica e all’esterno delle mura spagnole, sorge dagli anni Quaranta del XIX secolo la prima officina del gas di Milano, che dal 1934 viene spostata in zona Bovisa. A San Celso cominciano a concentrarsi, firmati da grandi nomi dell’architettura italiana, una serie di edifici. L’architetto Giuseppe Pagano (che aveva già disegnato l’Istituto di Fisica nella Città Universitaria di Roma) nel 1941 progetta la sede dell’Università[12]; nel 1953 viene affidato a Giovanni Muzio[13] il progetto per le strutture ricettive e per le mense studentesche mentre nel 1962 progetta gli istituti di Economia con la grande Aula Magna e la biblioteca.[14] Nello stesso anno si affida all’architetto Ferdinando Reggiori[15] la realizzazione della cappella del quartiere della Bocconi. La chiesa di San Ferdinando presenta in facciata un massiccio portale rivestito in pietra che si giustappone ad un corpo centrale in laterizio, contenente l’aula unica. Confrontando l’assetto attuale con un’immagine degli anni Sessanta, si nota come lo spazio è stato oggetto di adeguamento, con l’inserimento di un altare avanzato rispetto all’originale presbiterio, affiancato da un ambone. Interessante anche la diversa disposizione dei banchi che, formando una sorta di ellisse, orientano i fedeli all’altare. La chiesa del quartiere della Bocconi, con le sue linee pulite ma ancora segnate da una volontà celebrativa, fa da battistrada alle successive realizzazione di nuovi edifici di culto nella periferia della città, che proprio a partire dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale avvolgono l’area di Porta Lodovica e la inglobano nel centro cittadino. Essa è consacrata il 30 maggio del 1962[16] da quel Giovanni Battista Montini, cardinale di Milano poi papa Paolo VI, che tanta parte avrà nell’edificazione di nuove chiese per il capoluogo lombardo.[17]
Anche la città di Roma è caratterizzata da una pluralità di atenei e da 27 Cappelle universitarie ad essi correlati. Tuttavia, oltre alla cappella eretta da Piacentini alla Sapienza negli anni Trenta[18], l’unica cappella costruita appositamente per un ateneo romano è quella di Tor Vergata. Istituita come seconda Università statale di Roma nel 1972, va ad occupare un’area a ridosso del Grande Raccordo Anulare all’epoca all’estremo confine dell’Urbe, oggi periferia quasi inglobata nell’area metropolitana. Le infrastrutture del campus sono state realizzate solo a partire dal 1997, in seguito ad un protocollo d’intesa tra Comune di Roma ed Università, nell’imminenza del Giubileo, durante il quale nei giorni del 19 e 20 agosto 2000 l’area di Tor Vergata ospita la giornata conclusiva della GMG con papa Giovanni Paolo II. Negli stessi anni, e a poca distanza dal luogo dove è rimasta collocata la croce a memoria di quel grande evento, l’architetto Vittorio De Feo – uno dei fondatori della facoltà di Ingegneria di Tor Vergata – costruisce la cappella di San Tommaso D’Aquino [19]. Si tratta di un volume articolato ma che appare compatto e ben riconoscibile come luogo di culto da quanti attraversano il campus. Lo spazio interno è costituito da una successione di spazi (vestibolo atrio, navata, presbiterio) avvolti da una balconata continua.
Alla fine degli anni Sessanta (in pieno dibattito decentralista sulle destinazioni dei nuovi insediamenti universitari in aree marginali ai grandi nuclei urbani) si pianifica a Parma il nuovo polo scientifico-tecnologico, esterno alla città.[20] A tutt’oggi esso si configura come un luogo staccato dall’abitato, e tuttavia molto più collegato ad esso rispetto alle previsioni iniziali. La presenza di una cappella è prevista fin dagli inizi degli anni Ottanta nel piano regolatore del Campus; la decisione operativa della presenza pastorale è invece presa per iniziativa della diocesi, su sollecitazione di docenti, studenti e personale. La cappella è realizzata nel 2007 dall’architetto Pietro Pedrelli, docente nella Facoltà di Architettura dell’Università di Parma. Essa, che pare «quasi una pieve di campagna nelle sue forme semplici e genuine»[21] , presenta uno spazio interno sobrio ma decoroso, senza pretese di una grandezza fuori luogo.
Le tre esperienze di Milano, Roma e Parma aprono a considerazioni circa a relazione tra l’università e la città. In questi casi infatti si riscontra come la città universitaria, il campus, possa costituire un mondo a sé anche laddove non sia del tutto isolata ed esterna al tessuto urbano. La presenza di una cappella, come servizio religioso offerto agli abitanti di questi centri, ne diventa la testimonianza. Ritorna allora il tema iniziale: queste cappelle sono le cattedrali della città universitaria? No. Non è la monumentalità la cifra secondo cui leggere la loro presenza nel tessuto del mondo accademico. O meglio, la monumentalità intesa come impressione di grandiosità, solennità, imponenza. Questi edifici sono effettivamente ‘monumenti’, ma nel senso etimologico del termine. Anche la loro sola presenza in questi centri del sapere è significativa. Consentono alle comunità cristiane ivi presenti di riconoscersi in un edificio, in ciò che esso rappresenta. Nei campus universitari – città nella città o città ‘altra’ avulsa dal contesto urbano – esse fungono effettivamente da simbolo, richiamo religioso che a prescindere dalla effettiva qualità architettonica risulta inequivocabilmente riconoscibile. È forse un caso che proprio nella città di oggi, sempre più multietnica e multiculturale, si avverta l’esigenza di costruire chiese nelle università, fuori o dentro le città?
NOTE
[1] Sandro Benedetti, La cappella della “Divina Sapienza” nella città universitaria di Roma, Roma, Gangemi, 1998, p. 12.
[2] Cfr. L. 11 dicembre 1969, n. 910, in materia di “Provvedimenti urgenti per l’Università”.
[3] Cfr. Francesco Bonini, La politica universitaria nell’Italia repubblicana in Gian Paolo Brizzi, Piero Del Negro, Andrea Romano (a cura di), Storia delle università in Italia, Sicania, Messina, 2008, vol. 1, pp. 425-459.
[4] Matteo Robiglio, Progettare l’università, nelle piccole città, in Matteo Robiglio (a cura di), Case, università, città: architettura per piccoli centri. Seminari 1993-1996, Torino, CLUT, 1999, p. 74.
[5] Per le considerazioni circa i due modelli, cfr. Riccarda Rigamonti, Materiali per il progetto di una sede universitaria, in M. Robiglio, Case, università, città…, cit., pp. 109-115.
[6] Cfr. Giancarlo De Carlo, Urbino: la storia di una città e il piano della sua evoluzione urbanistica, Padova, Marsilio, 1966; Fabrizio Brunetti, Giancarlo De Carlo, Firenze, Alinea, 1981; Monica Mazzolani, Roberto Rosada, Il palazzo dei riflessi. Un progetto di Giancarlo De Carlo per Urbino, Milano, Skira, 2002.
[7] Cfr. Claudio Baracca, Giorgio Corioni, Massimo Giuliani, La forma della città. La città murata, la città fuori le mura in Pavia: ambiente, storia, cultura, Novara, Istituto Geografico DeAgostini, 1988, pp. 64-87; Luisa Erba, Alma Ticiniensis Universitas, Pavia, Silvana, 1990; Ioanni Delsante, Giancarlo De Carlo e la Facoltà di ingegneria di Pavia, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2007.
[8] Cfr. Enrico Valeriani, Cittadelle universitarie, in Alberto Mambriani, Università, città, piano: Parma, Brescia, Bologna, Milano, Venezia, Reggio Calabria, Roma, Gangemi, 1999, pp. 2016-211; Mariastella Casciato, La comunità del sapere in Giuseppe Barbieri, Il campus universitario di Chieti, Milano, Electa, 1997, pp. 14-29; Alessandra Coppa, Vittorio Gregotti, «L’architettura. I protagonisti», XIII, Milano, Motta, 2007.
[9] Cfr. Franco Agnesi, Orientamenti di pastorale universitaria. Passi di un’esperienza in atto, Milano, I.T.L., 2003; Claudia di Filippo Bareggi, Diocesi di Milano: linee di pastorale universitaria, in Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della CEI, Università e Chiesa in Europa: Simposio europeo. Roma, 17-20 luglio 2003, Rivoli, Elledici, 2003.
[10] «Il Vescovo diocesano abbia una intensa cura pastorale degli studenti, anche erigendo una parrocchia, o almeno per mezzo di sacerdoti a ciò stabilmente deputati, e provveda che presso le università, anche non cattoliche, ci siano centri universitari cattolici, che offrano un aiuto soprattutto spirituale alla gioventù.» Codice di diritto canonico, promulgato da Giovanni Paolo II, 1983 gen. 25, Città del Vaticano 1983, can. 813.
[11] Cfr. Maria Luisa Dagnino, Schede storico-tipologiche, in A. Mambriani, Università, città…, cit., pp. 127-180.
[12] Cfr. Federico Brunetti (a cura di), Giuseppe Pagano: l’Università Bocconi di Milano, Firenze, Alinea, 1997.
[13] Cfr. Fulvio Irace, Giovanni Muzio (1893-1982): opere, Milano, Electa, 1995.
[14] Cfr. Enrico Resti, L’Università Bocconi: dalla fondazione ad oggi, Milano, EGEA, 2000; Aldo De Maddalena, Marzio A. Romani, Marco Cattini, Storia di una libera università, Milano, Egea, 2002.
[15] Cfr. Ferdinando Reggiori, Scritti e pubblicazioni dell’architetto Ferdinando Reggiori, Milano, Officine grafiche Esperia, 1964.
[16] «Il Cardinale […] ha considerato alcuni aspetti del rito celebrato, molto significativi. Ed innanzitutto l’aspetto che colpisce immediatamente è l’edificio, la casa di Dio dove si viene a pregare ed ha tributato il proprio ringraziamento a chi ha voluto la realizzazione della chiesa di San Ferdinando. In secondo luogo si è compiaciuto per la dignità, la bellezza, il decoro, la originalità e la modernità del nuovo tempio dando lode a chi lo ha realizzato, ed ha ricordato l’arch. Reggiori. Ed infine Sua Eminenza ha esaminato i rapporti tra la nuova chiesa e il mondo universitario della Bocconi. Il tempio si trova in rapporto di servizio rispetto all’Università, ma nello stesso tempo in un rapporto di libertà (entra in chiesa chi vuole, non vi è nessuna coazione) e in un rapporto di mutua deferenza. Il Cardinale ha affermato che ci troviamo di fronte ad un fenomeno di estrema importanza e di grande consolazione per il fatto che nel secolo attuale in questa città così espressiva nelle sue industrie, nei suoi commerci, nei suoi traffici ci sia ancora questo eterno Vangelo così fresco, così vivo, così ancora inesplorato che illumina le fatiche, che rende degna la vita umana.» «L’Italia», 31 maggio 1962.
[17] Cfr. Cecilia de Carli Sciumè, Le nuove chiese della diocesi di Milano 1945-1993, Milano, Vita e pensiero, 1994; Maria Antonietta Crippa, L’architettura lombarda di chiese dall’ultimo dopoguerra ad oggi, in Profezia di bellezza. Arte sacra tra memoria e progetto. Pittura-scultura-architettura 1945-1995, Roma, Unione Cattolica Artisti Italiani . Ciscra Edizioni, 1996, pp. 223-229.
[18] Cfr. Nicola Spano, Studium Urbis, Roma, Casa editrice mediterranea, 1936; S. Benedetti, La cappella della “Divina Sapienza”…, cit.; Vincenzo Di Gioia, L’insediamento universitario a Roma. Dall’Unità italiana alla città universitaria (1870-1935), in «Annali di Storia dell’università italiana», vol.4, 2000; Ida Mitrano, La Sapienza. 1932-1935. Arte, architettura e storia, Roma, Casa Editrice La Sapienza, 2008.
[19] Cfr. Vittorio De Feo, La cappella di San Tommaso D’Aquino a Tor Vergata, Roma, Clear, 2002; Vittorio De Feo, Vittorio De Feo. Chiesa universitaria di San Tommaso d’Aquino.Tor vergata, Roma 2002, in «Casabella», n.712, 2003, pp. 54-67.
[20] Cfr. Alberto Mambriani, Università Architettura Piano, in A. Mambriani, Università, città…, cit., pp. 9-16.
[21] «Vita nuova», 29 giugno 2007.