La notizia della scomparsa del professor Giovanni Carbonara, a ottanta anni da poco compiuti, è giunta il 1 febbraio 2023, al termine di una malattia dal decorso inarrestabile. Con lui scompare non soltanto un docente illustre e uno studioso di prim’ordine, ma un architetto umanista che ha sostenuto per tutta la vita la necessità di considerare il restauro come un’attività non riducibile ad un fatto meramente tecnico. Nella sua vasta produzione teorica e critica – impressionante per quantità, qualità e varietà dei temi trattati – risuonava l’impegno civile dei padri fondatori del restauro italiano, che in gran parte del mondo è semplicemente “il” restauro, proprio per merito di Carbonara. Docente alla Sapienza di Roma – e per breve tempo anche all’Ateneo di Chieti-Pescara – direttore della Scuola di Specializzazione in Beni architettonici e paesaggio, ha formato schiere di allievi italiani e stranieri, sia in ambito accademico, sia in quello delle Soprintendenze e della funzione pubblica. Numerosi sono i cantieri di restauro di cui è stato responsabile in prima persona o come consulente: uno per tutti, la basilica di Collemaggio all’Aquila. Sostenuto da una fede profonda e discreta allo stesso tempo, che alimentava una disponibilità all’ascolto inusuale nel mondo universitario, Carbonara ha incarnato un modello di intellettuale preoccupato di dare un senso al lascito culturale del passato, in una prospettiva aperta al futuro. La sua familiarità con i temi dell’architettura medievale non gli ha impedito di dialogare con la creazione contemporanea fin dagli anni Settanta, per attraversare tutti i temi della conservazione, gestione, tutela, analisi del patrimonio architettonico. Il mondo accademico perde un protagonista di una stagione irripetibile, quella dei grandi ideali e della forza di un pensiero che non arretra di fronte alle responsabilità. Per tutti noi che abbiamo condiviso con lui un tratto importante della nostra vita, resta un senso di solitudine e smarrimento, e la sensazione che una grande avventura culturale si sia conclusa forse per sempre.
Claudio Varagnoli