Il seminario “Armonie Composte”, a ridosso della sua terza edizione, vede la pubblicazione dei contributi che nel 2016 diedero avvio a questo fecondo cammino di studio, di elaborazione e condivisione di saperi. Il seminario, ospitato dall’Abbazia di Praglia, è il frutto della convenzione sottoscritta dall’allora rettore dell’Università degli Studi di Padova Giuseppe Zaccaria e l’abate di Praglia, Norberto Villa. Il sodalizio non solo consolida un legame secolare tra l’ateneo e l’abbazia, ma sancisce un impegno comune nella difesa del territorio, frutto di un delicato equilibrio tra uomo e natura, con l’obiettivo di individuare attraverso sensibilità eterogenee di professionisti e studiosi nuove strategie di rigenerazione territoriale.
In questo contesto il paesaggio monastico ben identifica l’esito di strategie di progetto e di utilizzo del territorio che prevedono la cura e la manutenzione del “paesaggio”. Il concetto di paesaggio appare poliedrico nel contributo iniziale di Benedetta Castiglioni che inquadra la problematica, sviscerata poi nelle sue connotazioni giuridiche da Patrizia Marzaro. Il volume affronta in maniera molto fluida il tema del paesaggio monastico come un processo architettonico di relazione e interazione con il contesto, di adattamento ma anche di controllo, in cui la regola monastica diventa anche strumento di tracciamento fisico del territorio (F.G.B Trolese). La capacità delle architetture monastiche di abitare il luogo, controllandone le risorse naturali, e non, (interessante contributo di V. Cecchini sul recente restauro alla cisterna dell’abazia di Praglia), non mancano di cogliere quella che Maccarinelli chiama “anima unica di ogni luogo”, attraverso operazioni di orientamento attuate nel rispetto dell’orografia del territorio e tramite punti di osservazione. Progettualità architettoniche capaci, quindi, di generare composizioni territoriali armoniche, affini in questo alle ville dell’otium romane, come messo in luce nel contributo di Gianmario Guidarelli & Elena Svalduz. Un paesaggio, quello monastico, raccontato dal mondo pittorico rinascimentale, il cui studio può rappresentare un modo di leggere il territorio con un approccio multidisciplinare (A. Pattanaro), e di rileggere la realtà monastica stessa (B.M. Savy).
La possibilità di individuare, più che un “progetto monastico”, un “modello monastico” di cura e gestione degli spazi della vita comune attraverso le attività interagenti con il contesto (M. Maccarinelli), mette in luce come un territorio che voglia definirsi “attraente” debba configurarsi come un territorio “giusto”: un paesaggio che funzioni correttamente, che sia sostenibile e che ospiti funzioni adeguate alle sue peculiarità (V. Ferrario). Le strategie di tutela e valorizzazione necessarie (E. Pezzetta; I. Borletti Buitoni, S. Ficorilli & G. Ceriani Sebregondi) troverebbero campo più fertile in quanto innescate da dinamiche di cura del “bene comune”, identitario e rappresentativo di una rete di valori che si intrecciano sul territorio. In quest’ottica, l’architettura non si pone come manufatto fisico, ma come elemento processuale attivatore di dinamiche di tipo sociale e non solo (S. Sfrisio & TAMassociati). A questo scopo, un utile strumento di ricerca è rappresentato dalle nuove metodologie per lo studio e la comunicazione del paesaggio e delle sue trasformazioni storiche, che mirano a definire un approccio sistemico, attraverso protocolli e procedure specifiche per lo studio della materia e che siano in grado di prevedere effettive strategie di comunicazione con le realtà del paesaggio di riferimento (A. Giordano e S. Zaggia).
Giulia De Lucia
Il paesaggio costruito, il paesaggio nell’arte
a cura di Gianmario Guidarelli ed Elena Svalduz, Padova, Padova
University Press, 2017 (collana Armonie Composte)
pp. 204, ISBN 9788869381119