Nel primo anniversario della scomparsa di mons. Giancarlo Santi la redazione presenta alcune riflessioni personali e ricordi condivisi da coloro che lo hanno conosciuto e frequentato. L’invito a proporre un ricordo è giunto a tutti i nostri contatti e col passaparola alcuni contributi sono poi arrivati spontaneamente. L’eredità culturale di “don Giancarlo”, accumulata negli ultimi cinquanta anni è un patrimonio di inestimabile valore nella storia della chiesa italiana post-conciliare. Il suo operato rappresenta una testimonianza fondamentale, che merita di essere tramandata: a noi il compito di raccogliere e restituire. Il nostro Centro Studi Architettura e liturgia, con gli strumenti di Thema, si rende disponibile per coloro che condividono l’idea e che hanno l’intenzione di condurre uno studio.
Si desidera sottolineare che i contributi sono pubblicati senza alcuna modifica o intervento da parte della redazione, al fine di preservare l’autenticità delle esperienze e delle memorie condivise.
Esattamente un anno fa, il 24 novembre 2022, è tornato alla casa del Padre Mons. Giancarlo Santi, punto di riferimento imprescindibile – nei numerosi ruoli di responsabilità ricoperti per tanti anni – per tutti coloro che anche solo occasionalmente si sono occupati di beni culturali ecclesiastici, e soprattutto persona straordinaria per gentilezza, disponibilità, generosità, capacità di ascolto e di accoglienza, profondità di pensiero.
AMEI lo ricorda non solo come Presidente e consigliere, ma anche come autorevole Socio Fondatore, nonché quale autore di alcune ricognizioni assolutamente decisive per comprendere appieno l’entità quantitativa e qualitativa del fenomeno dei musei ecclesiastici in Italia.
Vogliamo citare le parole di Carlo Tatta, anch’egli Socio Fondatore e oggi Socio Emerito di AMEI: «Di Mons. Santi ricordiamo con ammirazione la grande cultura, la sensibile pacatezza e la fine intelligenza, che non poco concorsero ad alimentare e sostenere l’impegno profuso dall’AMEI, soprattutto nei primi anni di vita; persona di una non comune amabilità, vero Maestro di vita, davvero illuminato, capace di esercitare il proprio ruolo con esemplare dedizione e rara modestia».
A nome di tutti i soci AMEI lo ricordiamo con commozione e con profonda gratitudine.
Grazie di tutto, Don Giancarlo. ( AMEI Associazione Musei Ecclesiastici Italiani)
La conoscenza personale iniziò nel 2011, mi venne a cercare quando lavoravo per il progetto del nuovo Evangeliario Ambrosiano. Voleva sapere chi l’avesse concepito e com’era stato articolato l’intero processo. Era curioso, appassionato di architettura sacra e pragmatico nel catalogare i cantieri di dialogo tra la Chiesa e le arti. Un uomo franco: non regalava complimenti. Quella volta mi andò bene. Soprattutto iniziò una consuetudine fraterna tra di noi: trovavo sempre una accoglienza garbatemene festosa, molta semplicità e libertà umana nella condivisione, soprattutto un senso di stima e di incoraggiamento per quello che stavo facendo. Nel Consiglio di Direzione di Arte Cristiana portava idee nuove e allargava gli orizzonti. Fu lui ad indicare la figura del vicedirettore: un dono per il quale gli sono molto grato. Apprezzava con particolare stima la Fondazione Scuola Beato Angelico, il suo ruolo per il presente della Chiesa, e ne frequentava puntualmente la Biblioteca e gli Archivi per lo studio dei documenti. Credo che raccogliere la sua eredità, per quanti l’hanno conosciuto nel campo dei beni culturali della Chiesa, significhi anzitutto portare avanti la “sua” causa: la cura evangelica per i beni culturali della Chiesa.(Don Umberto Bordoni )
Conobbi Mons. Giancarlo Santi nel 1995. Io lavoravo alla Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa da due anni e lui arrivò – da Milano ove era stato Direttore dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali – come Capo Ufficio, in attesa, lo si seppe dopo, di diventare Direttore del neonato Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici della CEI. Nei sei mesi che lo ebbi come collega, lavorò alla stesura di un’Intesa tra la CEI e il Ministero per i beni culturali. Avendo la fortuna di condividere con lui anche la casa per sacerdoti dove eravamo ospitati, nelle trasferte in auto o nei dopo cena spesso mi raccontava della fatica a negoziare con i funzionari statali le parole dell’Intesa, senza rivelarmene mai il contenuto specifico. La riservatezza professionale, infatti, era un tratto essenziale del suo carattere. Un altro era la fiducia che sapeva riporre anche nei più giovani. Ricordo, sempre in quel periodo, la soddisfazione che provai quando don Giancarlo mi dette da leggere le bozze dattiloscritte della nota CEI del 1996 sull’Adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, chiedendomi di fare delle osservazioni. La stessa cosa avvenne con il documento CEI Spirito Creatore sulla pastorale degli artisti che apparve nel 1997. In quei mesi spesso concelebravamo la Messa e per me fu una grande scuola la capacità di fare omelie brevissime e densissime. Pur non lavorando più a fianco a fianco, operando però nello stesso settore, anche negli anni successivi non sono state rare le occasioni di incontro a convegni o in altre circostanze e lo scambio di opinioni, le sue sempre condite da un garbato umorismo. Inoltre, è capitato che dovessi ricorrere a lui per consigli per il mio lavoro o le mie ricerche, trovando sempre un interlocutore attento e tempestivo e mai avaro di suggerimenti. Ultimamente, quando già la malattia si era manifestata e don Giancarlo non si spostava più volentieri, come aveva sempre fatto in passato, ho avuto l’onore di essergli in qualche modo utile in una delle sue ultime fatiche, la presentazione in un volume dei documenti che le conferenze episcopali del mondo hanno dedicato al tema dell’edilizia per il culto e dell’adeguamento liturgico. Con Mons. Giancarlo Santi è scomparso un solido riferimento in Italia per gli studi sull’architettura di chiese, un vero archivio vivente delle esperienze europee degli ultimi decenni, un iniziatore di buone pratiche per l’edificazione di chiese contemporanee di qualità e di tutela e conservazione dei beni culturali ecclesiastici ancora vitali e lontane dall’esaurire il loro valore. (Mons. Fabrizio Capanni)
Il primo ricordo che ho dell’allora don Giancarlo, risale al 1972 alla Facoltà di Architettura del Politecnico milanese. In quegli anni pur essendoci suore o preti che frequentavano le aule pochi tenevano segni distintivi del loro stato particolare. Tra questi vi era don Santi. Lo incontrai poi quando molti anni dopo lui era il responsabile dell’Ufficio Beni Culturali della Curia milanese e io mi rivolsi a lui per richiedere un aiuto a riallestire e rilanciare il Museo della Basilica di sant’Ambrogio che, aperto dall’arch. Ferdinando Reggiori nel 1949.Il suo ufficio era affiancato da una altra stanza in cui era un grandissimo scaffale su cui erano riposti in ordine ritagli stampa e riviste sul mondo dell’architettura.Nel 1999 venni assunto in Curia per coadiuvare il successore di don Santi, mons Luigi Crivelli, che da letterato quale era si trovava in difficoltà a interpretare Capitolati tecnici e simili. Così ritrovai mons Santi nei corsi residenziali che organizzava per gli incaricati degli uffici diocesani. Era sempre affabile e pronto a colloqui di amicizia pur mantenendo quel suo stile che lo faceva un riferimento particolare. Poi tornato lui in Diocesi dopo il mandato alla CEI, lo incontravo ai Convegni di Bose e talvolta su qualche cantiere di adeguamento da cui lui voleva essere sempre due passi in disparte per non influenzarne lo sviluppo. Era un vero saggio che da maieuta sapeva trovare le vie perché la formazione non fosse un indirizzo memorizzato di regole ma un pensiero articolato di vita. (Carlo Capponi architetto)
Ho conosciuto don Giancarlo Santi nel 2003, in occasione del primo congresso internazionale “Arte e Liturgia nel Novecento. Esperienze Europee a Confronto”, al quale fui invitato all’ultimo momento per parlare della Spagna. Appena arrivato a Venezia sono stato presentato a lui alla cena di accoglienza dell’evento, nella Taverna di San Trovaso. Mi colpì questo prete piccolo, serio, cordiale e sorridente, con il colletto della camicia bianca che faceva capolino sul maglione nero, sempre con un libro in mano. In quel periodo avevo appena discusso la mia tesi di dottorato sulla costruzione delle chiese in Spagna nella seconda metà del Novecento, che avrebbe richiesto ancora qualche mese per essere pubblicata.
Tornai a Venezia negli anni successivi e nel 2006 riuscii a portare con me alcune copie del mio libro “El espacio sagrado en la arquitectura española contemporánea”, appena pubblicato dal Colegio Oficial de Arquitectos de Galicia, che con le sue 695 pagine era piuttosto pesante. Era la prima opera importante che pubblicavo sull’argomento ed ero entusiasta che don Santi potesse darmi il suo parere. In quell’occasione, i relatori alloggiavano presso il Centro Culturale Don Orione Artigianelli, vicino alle Zattere Gesuati. Il giorno del mio arrivo, prima di cena, gliene consegnai una copia. Ricordo che il giorno dopo, appena mi vide, accanto all’Accademia, mi disse con un sorriso ironico: “Non sono riuscito a dormire tutta la notte leggendo il tuo libro”. Naturalmente non era vero, ma quel giorno il mio orgoglio si rafforzò. (Prof. Esteban Fernández-Cobián)
Abbiamo conosciuto Mons. Santi quando il Corso di formazione per operatori diocesani nel settore liturgico-artistico “Architettura per la liturgia” fu portato a Firenze nella splendida cornice di Villa Agape, articolato in due dense settimane di lavori distribuite tra Maggio e Settembre. Impossibile non restare colpiti dalla sua figura sottile ma vivace, dal suo fare garbato, dall’umorismo gentile, dalla sua competenza poliedrica e finanche visionaria. Il Corso radunava adesioni dal Trentino alla Sicilia, e la spontaneità con cui molti vi giungevano recando in dono dalla propria terra prelibatezze da condividere (“il più autentico degli scambi culturali”, sottolineava il Monsignore), era segno evidente del clima di fraternità che egli aveva saputo costruire, e della familiarità educata, ma mai distante, con cui era solito corrispondere alle istanze di tutti e di ciascuno. Ora che il Signore ha stabilito di riportarlo a casa, e che in tanti abbiamo dovuto imparare a fare a meno della sua presenza discreta, della sua letizia, del suo consiglio, quel che resta è un sentimento di viva gratitudine per tutto ciò che con coraggio e lungimiranza ha voluto costruire, per l’attenzione personale con cui ha saputo accompagnarci, e per quel che sul terreno da lui pazientemente dissodato ancora oggi continua a crescere e fiorire. Non abbiamo mai dimenticato il giorno in cui, con l’intento evidente di incoraggiare un cammino di formazione talvolta faticoso, ebbe a dire: “Non siete soli!”, parole che all’istante ci riportarono alla mente la promessa dolce di Mt 28,20. E adesso che è trascorso all’incirca un quarto di secolo, e lui ci guarda sorridente da un luminoso altrove, ogni volta che ci accade di partecipare ad un incontro sui temi a noi cari, di rivedere volti amici e conoscerne di nuovi, ci ritroviamo a pensare che aveva ragione, che l’impegno è stato onorato, e che questa comune ricerca in favore della Bellezza riempie il cuore proprio perchè vissuta tutti insieme. ( Cristiano Cossu e Ada Toni architetti )
Nato due anni prima di me e laureato architetto due anni dopo, come me al Politecnico di Milano, don Santi era un sacerdote gentile e fermo nelle proprie idee. Ci si vedeva qualche volta nei corridoi, ci si scontrava dialetticamente con cordialità: lui entusiasta aderente alla linea di Aldo Rossi, io impegnata in una tesi progettuale con Franca Helg. I nostri maestri ci hanno segnati.
Ci si è più tardi ritrovati in impegni diocesani, condividendo l’aspirazione ad un’architettura di centri parrocchiali ‘a regola d’arte’; l’ammirazione per la rivista bolognese “Chiesa e Quartiere”; l’attenzione ai beni culturali. Occasioni regolari di scambi erano gli incontri della Commissione per i Beni culturali e l’Arte sacra della diocesi che Santi presiedeva con grande equilibrio. Nel 1983 mi chiese di scrivere con lui un saggio sull’esperimento milanese del cardinale Montini per le nuove chiese.
L’ho rivisto dopo il 1994, a Roma, in un’esplosione di attività i cui germi erano già evidenti a Milano. É mia convinzione, ripetuta in più occasioni che, per comprendere appieno il suo contributo, occorre un’indagine estesa sull’intero cinquantennio in cui è stato attivo. (Prof. Maria Antonietta Crippa)
Giancarlo Santi. Un santo di Dio, che ha vissuto nella fiducia e nella lealtà, anche quando si trattava di prendere le decisioni più difficili e scomode. ( Andrea Dall’Asta SJ )
Conobbi Monsignor Santi nel 2015, quando, iniziato da poco il dottorato sul tema dei complessi parrocchiali milanesi, me lo indicarono come interlocutore fondamentale. Lo conobbi già in veste di “don Giancarlo”, apparente curato di parrocchia a riposo, nel suo piccolo studio in San Giovanni Bono. Mi resi però subito conto che la sua cultura, conoscenza e chiarezza di pensiero andavano ben oltre le doti comuni, e le pareti di quel modesto studio. Da quel momento mi accompagnò con incontri periodici sulla ricerca a San Giovanni Bono, e spronandomi sempre a continuare ed approfondire il lavoro. Sempre modesto nei modi, ma mai nel pensiero, la sua lucidità e la sua competenza erano inesauribili e sempre pronte a nuove sfide. Negli anni di ricerca, usavamo dialogare a fondo sul ruolo del patrimonio ecclesiastico nella città, e di come questo potesse essere valorizzato e incentivato attraverso studi e ricerche – tema che fu di fatto il pilastro del mio dottorato – nonché di come la Chiesa e l’università dovessero lavorare maggiormente insieme. Quegli anni al Politecnico di Milano tenevamo un Laboratorio in cui chiedevamo ai ragazzi di progettare una nuova chiesa per Città Studi, e lui veniva una volta all’anno a fare una splendida lezione sui principi di progettazione liturgica e le revisioni ai progetti: nonostante gli studenti fossero internazionali e lui parlasse italiano, con la sua chiarezza universale si faceva capire da tutti. Grazie a lui iniziai l’avventura di Bose, dei Convegni Liturgici e dei Laboratori CLI LAB, che hanno poi determinato fortemente il mio percorso per gli anni successivi. Non posso dimenticare quella volta in cui si offrì di darmi un passaggio di ritorno da Bose invece che prendere il treno: accettai, ignara che un pretino della sua età, con la sua polo bianca, potesse avere una guida così spericolata (forse potevo immaginarlo quando i fratelli di Bose mi chiesero se fossi sicura di voler accettare il passaggio..!). Ci sono molte cose, molti pensieri e lavori che avrei voluto ancora condividere con lui, e la sua partenza mi ha colto impreparata, come tutti, soprattutto perché credo che ci fosse ancora bisogno di lui in questo tempo, oltre che nella mia storia.L’ho salutato come si saluta un amico e un maestro, con la certezza che lui continua a controllare da lassù la precisione di quello che diciamo e scriviamo, e cosciente che la sua assenza ci chiede di impegnarci fortemente con il cuore e la mente per proseguire la sua opera intellettuale. Grazie don Giancarlo! (Francesca Daprà architetto PhD )
Quel suo franco sorriso, con gli occhi che gli si socchiudevano, era sempre pronto ad accoglierti. Ti sentivi a tuo agio.
“Si tratta di affacciarsi ufficialmente alla Biennale di Venezia”. Era il 2003. Mi aveva chiesto se potevo passare da lui, in via Circonvallazione Aurelia, con una certa urgenza. Di certo mancava poco tempo alla chiusura del programma ufficiale della Biennale d’Arte di quell’anno. “Ma non è troppo tardi?” obiettai, immagino con poca convinzione, perché dietro quel sorriso c’era la fermezza che avevo imparato a comprendere. “Dobbiamo provarci in ogni caso”. Così, per me, è iniziata l’avventura che ha visto la CEI, vent’anni fa, fare il suo ingresso nella manifestazione veneziana. E, con quella, altre avventure, per il bisogno di conoscere, di documentare, di comprendere, di progettare la qualità.
Don Giancarlo, ho detto sì a tante tue proposte. L’ho fatto anche per gratitudine nei tuoi confronti, per la fiducia che riponevi in noi, per gli stimoli che ci offrivi. Perché, con me, eravamo in tanti, gettati nella mischia.
Persone che ti hanno seguito e grazie a te hanno cominciato a conoscersi, a confrontarsi e a proporsi. Consapevoli che a ogni sollecito una tua risposta era sempre pronta e venire. Per telefono, per email, il riscontro non mancava mai, e in tempi brevi.
Solo in un caso, poco più d’un anno fa, la tua risposta ha tardato a venire e, per chi ti conosceva, non poteva che essere un segnale. Purtroppo.
Nonostante ciò sappi che ancora non abbiamo perduto l’abitudine di confrontarci con il tuo insegnamento, con l’ostinazione a cercare la qualità, con la passione che hai saputo trasmetterci. ( Giorgio Della Longa architetto)
Se ripenso a don Giancarlo mi viene alla mente una parabola. La parabola dei lavoratori della vigna, dove un padrone generoso offre a tutti la possibilità di essere assoldati e remunerati senza distinzioni di tempo e di impegno. Per Santi era importante il lavoro, un lavoro inteso come impegno a tenere alto il livello della conoscenza e del pensiero riguardo l’architettura liturgica e il progettare per la fede. Non importava chi e come si proponesse, ognuno era accolto e coinvolto in questo disegno, invitato e sostenuto a essere quell’ ”umile lavoratore della vigna del Signore” che ne arricchisce e diffonde i frutti. Don Giancarlo ha accolto ogni itinerario originale di ricerca, mettendo in primo piano il pensiero di chi dialogava con lui e le opere che ne potevano scaturire, senza paura anche di destare malumori e controversie, poiché, proprio come il buon padrone, in verità, non faceva torto a nessuno e delle sue cose avrebbe potuto usare come voleva. Gli ultimi come i primi ha salutato sempre allo stesso modo: Buon lavoro! ( Tino Grisi architetto PhD)
Di Mons. Giancarlo Santi ricordo la sua affabilità e generosità.
Ho sempre apprezzato il suo entusiasmo per lo studio e la ricerca nel campo dell’architettura sacra con particolare predilezione per le nuove realizzazioni del secolo scorso. Era un attento conoscitore del panorama delle nuove Chiese in Italia e ne tracciò lucide analisi ed elenchi esaustivi con pubblicazioni, che mi offrì in dono.
La passione per lo studio dello spazio sacro, sostenuta dagli approfondimenti teologici, crebbe in lui negli anni, essendo chiamato a rivestire ruoli importanti, prima come Responsabile dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Milano e successivamente dell’Ufficio Nazionale della CEI, che gli permisero di avere uno sguardo ampio delle problematiche insite nell’apertura ai linguaggi della contemporaneità.
In ciò si rivelò coraggioso, capace di sviluppare tematiche atte a sperimentare nuovi approcci interdisciplinari che favorissero dialoghi proficui tra i cultori della materia.
Ci ha lasciato un cospicuo bagaglio di conoscenze a cui attingere con frutto ed una ricca produzione scientifica sviluppata con impegno e lungimiranza, testimonianza di fede viva nei valori della cultura. ( Luigi Leoni architetto)
A un anno dalla morte di don Santi, sfogliando la sua piccola e preziosa pubblicazione Architettura e Teologia, mi sono immediatamente imbattuto in due parole che stavano saldamente al cuore del suo lavoro personale e del suo insegnamento: ricerca e passione. La necessità e l’urgenza della ricerca (che presuppongono l’esercizio dell’umiltà e del confronto) sono state senza dubbio la preoccupazione e la priorità principali della sua pluridecennale attività nell’ambito dei Beni Culturali Ecclesiastici e dell’architettura di chiese prima a Milano e poi alla CEI. Per don Giancarlo promuovere (ma anche praticare in prima persona) ricerca significava costruire quel bagaglio imprescindibile di conoscenze sul quale deve fondarsi ogni serio progetto architettonico. Conoscere bene il proprio mestiere, la storia e l’evoluzione delle discipline coinvolte, le pubblicazioni ed i documenti, le realizzazioni sparse per il mondo, gli ambiti urbani e le comunità oggetto e soggetto del progetto.
Ma conoscere non è sufficiente per affrontare nel modo più corretto il lavoro. Per don Santi serve anche la passione, un aspetto che racchiude in sé non solo il richiamo all’esercizio della serietà ma anche una non trascurabile dose di:
-coraggio (nell’affrontare sfide difficili che, come don Giancarlo sapeva bene, possono spesso trasformarsi in “vere battaglie”); soprattutto il coraggio della coerenza.
-Umanità (nel rapporto con tutti gli interlocutori del progetto), ispirata innanzitutto dal Vangelo.
-Generosità (nel mettere a disposizione di tutti le proprie conoscenze e competenze); una generosità disinteressata.
Ricerca e passione: non solo una lezione, ma anche e soprattutto una testimonianza di don Santi.(Antonio Marchesi architetto)
Mons. Arch. Giancarlo Santi, conosciuto durante il Master universitario in Progettazione e Adeguamento di Chiese del 2002 organizzato dalla Sapienza Università di Roma e dalla Conferenza Episcopale Italiana, si è rivelato nel corso degli anni un instancabile promotore della rinascita nella progettazione degli spazi liturgici. Competente in architettura, ha innescato un periodo di crescita e interesse tra molti architetti e non solo, un risultato non scontato. Appassionato e curioso, franco e schietto nelle riflessioni e nei giudizi, Mons. Santi ha promosso concorsi, convegni e pubblicazioni. Direi che è stato un vero e proprio “Richelieu” capace, durante e dopo la sua direzione della CEI, di ridare slancio a tematiche poco conosciute dal grande pubblico, creando di fatto un movimento. Con la sua morte, questo movimento si è disperso con una diaspora rapida e repentina, lasciando un vuoto significativo. (Andrea Marcuccetti architetto)
Conobbi don Giancarlo Santi in una di quelle circostanze fortuite che capitano talvolta nella vita.
Giovane assistente nei corsi di progettazione, mi fu assegnato il compito di predisporre il materiale per il corso. Tema: una chiesa. Non avendo la più vaga idea di cosa fosse una chiesa, né di come si progettasse, approfittando della mediazione di un amico, chiesi un appuntamento a don Giancarlo e fui ricevuto.
Con un certo timore percorsi il corridoio del suo ufficio. Con altrettanto timore bussai alla porta ed entrai.
Ci presentammo, mi sedetti. Don Santi mi guardò ed esordì dicendo: “era da tanto che desideravo che qualcuno della facoltà di architettura venisse a bussare alla mia porta. Oggi lei è qui, benvenuto”. Fu così che iniziò una conoscenza dapprima formale, poi sempre più amichevole fino a divenire una sincera amicizia. Per lui ero semplicemente “l’architetto circense”. Don Santi venne quindi in facoltà a fare lezione, assegnò il tema e partecipò ai lavori del corso facendo revisione agli studenti. Mi chiese quindi di ipotizzare la attivazione di un master in progettazione di chiese, che ebbe inizio l’anno successivo. Ma questa è un’altra storia. ( Stefano Mavilio architetto)