Riproponiamo l’intervista realizzata da THEMA Magazine rendendo omaggio al maestro Trento Longaretti, lo Chagall d’Italia, appena scomparso all’età di cento anni, artista di fama internazionale e tra i protagonisti dell’arte italiana dell’ultimo secolo.
Il 27 Settembre 2016 Trento Longaretti, nato a Treviglio (in provincia di Bergamo), ha compiuto 100 anni. Varie mostre a Bergamo e in provincia di Bergamo, oltre a percorsi itineranti sul territorio, a ricognizioni fotografiche, a pubblicazioni monografiche, a opere cinematografiche, si sono susseguite nell’arco del 2016 e proseguono nel 2017 per rendere omaggio all’arte e alla personalità del maestro Longaretti. Di particolare interesse è la pubblicazione – estratto da “La Rivista di Bergamo” (numero 87) – che raccoglie i contributi di storici e studiosi di storia dell’arte che hanno approfondito i molteplici aspetti dell’arte e della vita di Longaretti: tra gli altri, Amanzio Possenti con un focus sugli anni trevigliesi, Gian Maria Labaa, che si concentra sul magistero dell’artista, su cui torna con intenso ricordo l’artista Francesco Coter, poi Attilio Pizzigoni con l’affresco di un’epoca ricca di sfide culturali, Giuliano Zanchi che rilegge l’opera di Longaretti sullo sfondo degli sviluppi dell’arte a soggetto sacro nell’arco del Novecento, e Antonia Abbatista Finocchiaro con uno studio sulle ragioni formali e cromatiche della poetica longarettiana. La Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e il Museo della Fondazione “Adriano Bernareggi” hanno donato alla città di Bergamo, e a tutti i visitatori, due mostre significative: rispettivamente, “Longaretti 100”, unitamente al progetto “Longaretti 100 – Opere Pubbliche”, e “Longaretti lungo un secolo”, articolata ricognizione dello straordinario percorso artistico del pittore e maestro trevigliese, con 42 dipinti a partire dagli anni Trenta fino ai primi anni Duemila, a cura di Simone Facchinetti e Carlo Pirovano.
A partire dal 04 febbraio, la “Collezione Paolo VI – Arte Contemporanea” di Concesio (Brescia) ha deciso di aprire la stagione espositiva del 2017 con la mostra intitolata “Viandanti dell’anima. Il mondo di Trento Longaretti nelle opere della Collezione Paolo VI”, retrospettiva che rende omaggio all’artista trevigliese, e che evidenzia il legame di amicizia tra l’artista e Papa Paolo VI. Come ha ricordato Giovannimaria Seccamani Mazzoli, presidente dell’Associazione Arte e Spiritualità – ente gestore del museo di Concesio – Longaretti è stato «uno dei testimoni diretti della profonda azione riformatrice di Papa Montini nella ridefinizione dei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’arte contemporanea». L’esposizione si propone di indagare l’opera del maestro bergamasco «spesso malinconica, ma allo stesso tempo trasognata e sempre speranzosa» – così descrive Paolo Sacchini, direttore del museo e curatore della mostra – ma anche di documentare lo stretto rapporto che legò l’artista e Papa Paolo VI in una condivisione di prospettive, che presero forma in lavori di grande qualità estetica e di profonda spiritualità, anche grazie al fondamentale tramite del suo segretario particolare Don Pasquale Macchi. Un rapporto speciale, che lo stesso Longaretti fu chiamato a raccontare in occasione del convegno intitolato “Paul VI et l’art” (organizzato dall’Istituto Paolo VI di Concesio e tenutosi a Parigi, presso la sede dell’UNESCO, il 27 gennaio del 1988) e che volle spiegare con la seguente affermazione: «credo che Paolo VI, per il suo temperamento, per il suo carattere, la sua natura, la sua educazione, avesse un modo di sentire molto vicino a quello di un’artista». In mostra, fino all’11 marzo, sono cinquanta opere provenienti dal patrimonio della “Collezione Paolo VI” scelte tra gli oltre trecento dipinti, incisioni, disegni dell’artista bergamasco conservati dal museo. Tra gli altri anche il bozzetto dell’opera, realizzata su committenza di Papa Paolo VI, che il Santo Padre regalò al Patriarca di Costantinopoli Athenagora I in occasione del suo viaggio a Istanbul del 1967.
Il primo dei testi di Giovanni Battista Montini dedicati all’arte risale al 1929. Il primo sforzo attivo di Giovanni Battista Montini verso l’arte fu, come Arcivescovo, nel 1955 la creazione della Galleria di Arte Sacra dei Contemporanei, presso Villa Clerici, a Milano, e in seguito come Pontefice nel 1973 la creazione della sezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Anche per quanto riguarda l’architettura lo vediamo attivo, nella costruzione delle nuove chiese – il progetto del cosiddetto “piano Montini” per la città di Milano.
Ricordiamo che la sensibilità artistica di Papa Paolo VI diventa nota anche in Nord America per due episodi: uno già descritto da un articolo pubblicato su Thema (https://www.themaprogetto.it/la-tiara-di-papa-paolo-vi-a-washington/), riguardante la tiara che il Pontefice donò agli Stati Uniti d’America, e l’altro riguardante il dono che nel mese di Ottobre del 1965 Papa Paolo VI portò con sé a New York presso la sede dell’ONU dove si recò per tenere il memorabile discorso: qui lasciò come ricordo personale il “Cristo in croce” di Georges Rouault, artista con cui entrò in contratto tramite Jacques Maritain.
Le foto sono per gentile concessione dell’Associazione Longaretti
Maestro Longaretti, che cosa può dirci dell’evento organizzato a Parigi, dedicato al dialogo tra Papa Paolo VI e l’arte?
Ricordo ancora il mio posto in quella conferenza. Era il mese di gennaio del 1988. Per me si trattò di un evento importante: il convegno “Paul VI et l’art” organizzato dall’Istituto Cattolico Paolo VI, nel 1988, presso la sede parigina dell’Unesco. Il mio intervento era incentrato sul ricordo dell’impegno di Papa Paolo VI per portare la Chiesa nel mondo dell’arte, per re-introdurre la Chiesa alla conoscenza dell’arte.
Maestro Longaretti, quale aspetto lo avvicinava maggiormente al pensiero di Papa Paolo VI / Giovanni Battista Montini?
A dire il vero, l’attenzione alla dimensione umana, all’uomo. Tutta la mia poetica è una meditazione sull’uomo, sulla sua esistenza, sul suo peregrinare, e anche sui drammi che vive. Sono nato nel 1916 e ho vissuto il “dramma” del Novecento: il “dramma” di una storia trasformata dalle guerre, trasformata da ciò che viene in seguito alle guerre, in continuo cambiamento. Il Novecento è stato il secolo in cui l’uomo – contemporaneo, ormai preda di una contemporaneità che non è più solo modernità – ha a che fare con cambiamenti legati alle proprie tradizioni, al proprio modo di essere. Quindi, la mia è sempre stata una riflessione sull’esistenza. Ho voluto porre l’uomo, il senso dell’umano, sempre al centro della mia produzione.
Così, rimasi colpito dall’attenzione che Papa Paolo VI pose verso l’uomo, verso il senso della sua esistenza quotidiana e spirituale. Per me Papa Giovanni XXIII era stato il Pontefice “padre”, simbolo di una figura “paterna”, e peraltro bergamasco come me e come lei che mi sta intervistando. Papa Paolo VI portò con la sua elezione il ricordo del predecessore, della loro profonda amicizia, e fu per me il Pontefice della riflessione sull’uomo e sul senso dell’arte per l’uomo. Quando nel 1963 l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini venne eletto al soglio pontificio avevo 47 anni, né troppo giovane né troppo anziano per meditare sulle sue parole, sui suoi discorsi.
Maestro Longaretti, ricordiamo il discorso di Papa Paolo VI a voi artisti: l’omelia pronunciata il 07 Maggio del 1964 in occasione della Santa Messa per gli artisti nella Cappella Sistina.
Ricordo perfettamente. Papa Paolo VI quel giorno nella Cappella Sistina chiese scusa a tutti noi artisti per la mancata comprensione della Chiesa nei nostri confronti e disse che la Chiesa aveva bisogno di noi.
Fu con l’avvento delle Avanguardie che era avvenuto il divorzio tra Arte e Chiesa. Voglio ricordare che oltre a Paolo VI conobbi bene Monsignor Pasquale Macchi, che una volta si recò in Francia recuperò un’opera di Georges Rouault chiamata “Il Volto di Cristo”. Delle mie opere, in particolare, Pasquale Macchi si occupò di un mio percorso espositivo allestito presso il Sacro Monte di Varese.
Oggigiorno, vediamo che la Chiesa è ritornata a essere la committente in ambito artistico.
E ne sono lieto, perché scavando nella riflessione sull’uomo, ho sempre approfondito il tema della “pietas” cristiana. Lei avrà notato che è la “pietas” il carattere che voglio emerga dai miei dipinti. La “pietas” porta a pensare alla semplice complessità della dimensione umana. Cristo è la figura che richiama tale ideale. E al fondo, alla base di tutto, è il rapporto Madre-Figlio, che noi vediamo nel la nostra religione: Maria-Gesù, una Madre e un Figlio. Ho cercato di dare esaltazione all’amore tra Madre e Figlio. Quello è un Amore Sacro, la Sacralità di questo rapporto è unica.
Maestro, quale è il ruolo del Sacro nel suo fare arte?
Il Sacro è il senso stesso della mia arte. Quando rappresento l’uomo, la fragilità dell’uomo richiama allo stesso tempo la Sacralità della sua esistenza. Non solo le mie opere per la chiesa sono Arte Sacra, non solo le mie opere riferite al tema della Misericordia. La dimensione del “Sacro” è il senso del mio fare arte. Ogni figura umana che ho rappresentato, che rappresento, è Sacra, perché Sacra è la vita umana, Sacro è il dono di vita di una Madre. Sacro è il senso stesso di vita dell’Uomo.