Nel 2014 ebbi modo di scrivere un libro sulla chiesa della Madonna della Neve costruita alla fine degli anni Sessanta a Roccaraso (Echi di le Corbusier in Abruzzo, Gangemi Editore, assieme ad Alessandra Pirozzi), citato sulla pagina culturale del “Corriere della Sera” in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Le Corbusier (27 agosto 1965). Quest’intensa opera religiosa era infatti considerata un’estrema ma inequivocabile eco dell’opera del maestro svizzero, giunta dalla collina di Bourlémont fin sulle montagne abruzzesi. A circa tre anni di distanza mi è data l’opportunità di tornare su quel tema, intessuto di filamenti pregiati: l’architettura, la storia, la natura, la pace – eternamente in pericolo. In questi tre anni i dati storici sono cresciuti a favore dell’ipotesi iniziale, ma l’essenza stessa dell’opera architettonica è minacciata, come vedremo in seguito. L’Aremogna è la località del Comune di Roccaraso in cui nel 1933, a quota 1710 metri s.l.m., fu costruito il rifugio “Principessa Giovanna”. Dobbiamo ricordare a proposito come Roccaraso abbia pagato un prezzo durissimo alla seconda guerra mondiale a causa della sua posizione limitrofa alla Linea Gustav. All’inizio di novembre 1943 le truppe tedesche, abbandonando il capoluogo, dopo aver sfollato la popolazione fanno saltare in aria ogni edificio; nella frazione di Pietransieri fucilano i 128 abitanti che si erano rifiutati di sfollare, fra cui 34 bambini. Il Dopoguerra si presenta quindi durissimo per il piccolo centro turistico, ma nonostante ciò alla fine degli anni Cinquanta l’attività è in piena ripresa e nel 1963 nell’Aremogna vengono realizzati gli impianti di risalita. In questa difficile rinascita emerge la figura di don Edmondo De Panfilis, il parroco arrivato a Roccaraso giusto nel 1946; egli si dimostra capace di comprendere l’importanza della valorizzazione turistica della zona dell’Aremogna e nel contempo il ruolo di assistenza spirituale che un edificio sacro può fornire alle folle di turisti della neve. D’altronde la stessa Amministrazione Comunale prevede di costruire una nuova chiesa sul piano dell’Aremogna, riservandole una zona nel nuovo PRG. Del progetto di questa nuova chiesa (rimasto inattuato) viene interessato lo studio Nervi e l’architetto Antonio, figlio di Pier Luigi, il 9 gennaio 1971 traccia uno schizzo prospettico di studio, conservato assieme ad alcune fotografie del sito d’impianto e ad un’altra che ritrae don Edmondo che osserva dall’alto il panorama innevato. Dovette essere proprio il parroco a fungere da collegamento con il grande studio romano: don Edmondo non era un curato di campagna, ma tra l’altro il cappellano della squadra italiana nelle Olimpiadi di Mosca e di Los Angeles, nonché in quelle invernali di Sarajevo. Egli strinse inoltre saldi rapporti di amicizia con Giovanni Leone, proprietario di una villa a Roccaraso, prima ancora che questi fosse eletto Presidente della Repubblica. Secondo la testimonianza del figlio, l’avvocato Paolo (che ringraziamo), fu il futuro Presidente a mettere in contatto don Edmondo con l’autore della chiesa dell’Aremogna: l’architetto Vincenzo Monaco che, assieme ad Amedeo Luccichenti, aveva fondato negli anni Trenta uno studio divenuto nel Dopoguerra uno dei più affermati di Roma, specialmente nella realizzazione di palazzine residenziali. Pochissime invece le opere in campo religioso dello studio: i due furono autori della cappella sui Monti Albani nella Colonia Bartolomeo Gosio in località Borghetto, realizzata tra il 1955 ed il 1956 per le Suore della Mercede (con la rilevante collaborazione di Julio Lafuente) e del “progetto di massima” del “Centro Internazionale Pio XII per Mondo Migliore” a Rocca di Papa (1959). Da solo Vincenzo Monaco progettò invece dal 1969 la chiesa di Roccaraso e la chiesa del Cristo Re a Sulmona, che verrà invece realizzata da Carlo Mercuri, direttore artistico del cantiere dell’Aremogna. Quando don Edmondo si rivolge a Monaco per chiedergli di progettare una chiesa “sui campi sportivi” dell’Aremogna, Vincenzo Monaco è un professionista al culmine della propria carriera professionale durante la quale in diversi episodi egli è stato ispirato dalla poetica di Le Corbusier. A tal proposito la critica si limita a citare l’episodio più eclatante, la villa romana realizzata alla Camilluccia per la famiglia Petacci (1938-39), nella quale il riferimento al Maestro è evidente nella configurazione del volume, nella partizione delle facciate e nel motivo della promenade architecturale costruita intorno ad una rampa centrale sul modello della villa Savoye (1929), mentre alla villa Stein-de Monzie di Garches (1926-27) rimandano la grande loggia in facciata e la scala esterna di collegamento con il giardino. In realtà le coincidenze sono diverse e costanti. Durante il periodo bellico, Monaco e Luccichenti riuscirono a proseguire l’attività professionale trasferendosi nel Governatorato di Dalmazia esprimendo ancora tale intima adesione nelle Case Minime in via Novogradiška a Zara, che evocano le Case Monol progettate da Le Corbusier nel 1919. Tornati in Italia al termine della guerra, nel vasto novero di palazzine realizzate a Roma quella sorta al numero 40 di via San Crescenziano (1952) può essere considerata la terza citazione corbusieriana in quanto sia lo schema planimetrico complessivo che la dialettica formale tra gli elementi a geometria ortogonale e quelli ad andamento “libero” richiamano il Padiglione Svizzero realizzato nel 1930 nella Città Universitaria di Parigi. In realtà Monaco e Luccichenti ricevettero un indiretto attestato di stima da le Corbusier in un dettaglio costruttivo del tetto-giardino disegnato per il Centro di calcolo elettronico di Rho, che riprendeva uno schizzo tracciato nel marzo 1963 con l’annotazione “aeroporto Roma”. Il disegno si riferisce infatti all’aeroporto di Fiumicino inaugurato alla fine del 1960 su progetto redatto da Monaco e Luccichenti; sempre alla copertura del terminal principale dell’aeroporto Leonardo da Vinci rimanda poi un altro disegno di Le Corbusier in cui compare la sagoma di un velivolo. L’attrazione verso il pensiero del Maestro si manifestava sotto il punto di vista personale, come testimoniato dalla continua presenza sul tavolo da lavoro dell’Œuvre Complète del Maestro e delle tavole a colori pubblicate da Morancé. Grazie alla cortesia dell’arch. Sandro Maccallini di Roma, abbiamo appreso come nel regalare ad un giovane collega una copia di Le Corbusier, la mia opera, la biografia pubblicata in Italia da Boringhieri nel 1961, sul frontespizio di Vincenzo Monaco scrivesse: «Al giovane Bracceri. Questo libro del mio primo maestro di vita architettonica affinché diventi anche il suo».
Nel breve periodo compreso tra la scomparsa di Amedeo Luccichenti (10 ottobre 1963) e la propria (3 marzo 1969), Vincenzo Monaco viene dunque contattato da don Edmondo De Pamphilis per progettare la nuova chiesa di Roccaraso. Un documento decisivo alla comprensione della vicenda costruttiva dell’edificio è la lettera che l’11 febbraio 1965 l’architetto scrive al parroco, annunciando che “finalmente” gli è venuta “un’idea” che gli sembra “interessante per la chiesetta dell’Aremogna” che, finalmente intitolata alla Madonna della Neve, verrà conclusa nel 1971. Nelle testate dei disegni di progetto accanto al “progettista” Vincenzo Monaco figura Carlo Mercuri quale “collaboratore” e responsabile del completamento del progetto e della direzione artistica dopo che nel 1967 lo stesso Monaco si è ammalato, mentre direttore dei lavori è l’ingegnere Clelber Giorgi di Sulmona, solido professionista autore di numerosi interventi nel Dopoguerra e molto vicino al vescovo Luciano Marcante.
Guardando oggi la chiesa dal piazzale ai piedi del rifugio “Principessa Giovanna”, la prima impressione emotiva ne evoca il rapporto con la cappella di Ronchamp; la ragione comprende nel rapporto il convento domenicano di La Tourette ed la chiesa di Firminy, tra le poche opere religiose nella sterminata produzione corbusieriana. L’organismo di Roccaraso è concepito in due livelli corrispondenti all’aula liturgica ed alla sacrestia-canonica, quest’ultima ricavata nella zona basamentale, sfruttando il dislivello verso nord per creare uno spazio continuo che ricalca la pianta curvilinea della porzione absidale della chiesa. I due livelli comunicano mediante una scala a chiocciola alloggiata in un volume esterno che si propone come un cilindro in cemento a faccia vista legato all’aula da un corridoio coperto; si tratta di un vero e proprio object a reaction poétique dedotto da un analogo elemento funzionale presente nel convento de La Tourette. La pianta dello spazio liturgico nasce dal presbiterio perfettamente circolare, in fondo al quale è collocata la “sedia episcopale”; in un secondo cerchio, tangente il maggiore, sono posti l’altare “in pietra a massello” ed il leggio. Dal cerchio presbiteriale si dipartono le due pareti leggermente divergenti dell’aula che vanno a formare lo schema a campana, leggibile anche come la giustapposizione di un cerchio ad uno strettissimo trapezio. A tal proposito un altro riferimento si riscontra nel progetto di Le Corbusier per la chiesa irrealizzata di Bologna nel quale, come nelle soluzioni redatte dal 1960 per il Saint-Pierre a Firminy (costruite dal 1971 da José Oubrerie), il Maestro prevede uno spazio a pianta quadrata comunicante con un impianto circolare sovrastato da una torre conica.
Comune nelle cappelle di Ronchamp e di Roccaraso è l’assenza di vere e proprie facciate distinte dalle altre; infatti nelle parole di Vincenzo Monaco l’”idea” della Madonna della Neve è quella di «un muro di una chiesa in costruzione sospesa agli inizi. Un’abside, una spirale che dall’ingresso sale fino al campanile». L’unica parete dell’edificio prosegue fluida il proprio percorso con uno spessore murario che aumenta dai 40 agli 80 centimetri, come nella parete sud della Notre-Dame du Haut, che si riduce gradualmente in altezza e spessore. Inoltre a Roccaraso la pseudo-facciata viene arretrata per determinare uno spazio esterno a pianta trapezia, preceduto da tre gradoni e protetto dalla copertura aggettante, nel quale è collocato un altare per le celebrazioni estive. La presenza dell’altare è rimarcata da una finestra in forma di croce greca con formelle vetrate policrome legate a cemento, così come l’”ingresso fedeli” è sottolineato da una vetrata policroma alloggiata nella lunghissima monofora sovrastante il robusto portale in legno lavorato.
La “cappella esterna” ricavata a sud costituisce un’altra citazione della chiesa di Ronchamp ed in particolare della cappella all’aperto che Le Corbusier ricava nella parete est per le adunanze dei pellegrini. Sempre per iniziativa di don Edmondo, sul sagrato della chiesa di Roccaraso avrebbe dovuto trovar posto una statua dell’artista sulmonese Attilio Di Rienzo a noi nota attraverso la foto del bozzetto e i disegni per la sistemazione redatti da Carlo Mercuri. La morte di don Edmondo e la mancanza dei fondi necessari impedirono però la realizzazione della statua così come dell’altare esterno progettato dallo stesso Mercuri.
Sotto il profilo strutturale la chiesa di Roccaraso costituisce il naturale progresso del concetto su cui si basa la cappella di Ronchamp, la cui struttura portante è costituita da 18 pilastri in béton armé i cui interstizi nelle pareti vengono riempiti con elementi lapidei di recupero della preesistente chiesa demolita. Al contrario, la struttura della chiesa della Madonna della Neve è interamente realizzata in cemento armato impiegato da Monaco “a faccia vista” secondo il concetto «émouvant» d’ispirazione corbusieriana («L’architecture, c’est, avec des matières bruts, établir des rapports émouvantes»). Nelle sue opere di architettura religiosa il Maestro concepiva il cemento grezzo quale elemento di continuità con il passato; nella prefazione scritta nel 1956 ad un libro sull’abbazia del Thoronet, lodando la “purezza” insita dalla “pelle ruvida” della pietra opposta a quella liscia del marmo, egli dichiara “benedetto” e “benvenuto” l’”ammirabile incontro” tra la pietra ed il béton brut. A Le Corbusier guarda anche il disegno imposto alla parete dalle «doghe delle sottomisure di contenimento stampate» (citate nella lettera di Monaco), che crea un’”immagine” il cui rapporto con l’ambiente naturale si ottiene attraverso l’etica del béton brut, capace di evocare “acusticamente” la superficie scabra della pietra e di conferire alla spirale della chiesa lo stesso significato delle vette montane che costituiscono lo straordinario intorno naturale dell’edificio.
Altro importante legame tra Roccaraso e Ronchamp è nella forma concava della copertura che nella Notre-Dame du Haut è formata da due membrane reciprocamente collegate da una struttura in centine curve simile a quella delle ali degli aerei. L’aspetto è quello del guscio di un granchio che Le Corbusier aveva trovato sulla spiaggia di Long Island nel 1947, constatandone con stupore la resistenza. A Roccaraso la copertura (che Monaco descrive come un «grosso tegolone, che scarica la neve fuori del sagrato») è concepita invece come una catenaria, ovvero come una compagine curva dagli estremi vincolati che viene lasciata pendere, sottoposta soltanto al proprio peso. Su un bordo è presente un canale di gronda che riversa l’acqua piovana in una vasca quadrata di raccolta posta in prossimità del punto più basso della copertura, richiamando così il doccione (simile ad un gargouille) che a Ronchamp convoglia in un bacino le scarse acque meteoriche. Il principale legame che lega la copertura della Madonna della Neve di Roccaraso alla Notre-Dame di Ronchamp riguarda la metafora della “tenda”. Mentre infatti Le Corbusier concepisce un sistema di pilastri coperti da una rete rivestita da un magro strato di cemento, “tendendo” il soffitto sullo spazio interno, Vincenzo Monaco, unendo le due quote della parete in cemento armato, conferisce alla copertura la forma della tenda. Tale scelta allude alla leggerezza della tenda dei Cieli di cui parlano il Salmo 10,23 («Tu stendi il cielo come una tenda») ed il profeta Isaia (40,22: «Egli è colui che sta assiso sul globo della terra, i cui abitanti sono come cavallette; egli distende i cieli come un velo e li dispiega come una tenda in cui abitarvi»). Inoltre nel libro dell’Esodo si cita la «tenda di convegno» che Mosè fa costruire come luogo di riunione per cercare la presenza di Dio attraverso il dialogo con Lui (Esodo 33,7-9: «Chiunque cercava l’Eterno, usciva verso la tenda di convegno, che era fuori dell’accampamento»).
Entrando all’interno della chiesa della Madonna della Neve a Roccaraso, notiamo come la disposizione dell’altare «rivolto verso i fedeli» segua le norme conciliari, mentre per il resto Monaco tedne ad evocare l’assetto liturgico tradizionale, con la cattedra in fondo, l’altare al centro ed il leggio «in cornu evangeli»: egli vuole infatti che ci si senta come «in una chiesa del ‘200». Nel complesso l’aula è caratterizzata dall’utilizzo di materiali poveri (come la pietra locale) e dalla tradizionale semplicità degli arredi liturgici, mentre le finestre strombate di vario taglio rimandano ancora alla profonda spiritualità della cappella di Ronchamp. In fase esecutiva e di cantiere si è rinunciato a «stampare” sul cemento i «simboli», le «decorazioni e le figure previste»; per decorare le pareti sono state eseguite delle figure in polistirolo tinteggiate di bianco raffiguranti, sempre nelle parole di Mercuri, «il volo delle colombe tra le nuvole verso l’altare», probabilmente ispirate alla colomba presente nelle vetrate sud della cappella di Ronchamp.
Altrettanto importante è l’uso della luce naturale, fondamentale tanto a Ronchamp quanto nella piccola chiesa di Roccaraso. Nella Notre-Dame du Haut il muro a sud ospita infatti gli alvéoles destinati ad ospitare vitrages policromi, così come nelle finestre strombate di forma quadrata o rettangolare della Madonna delle Nevi sono inseriti vetri colorati legati a cemento progettati dall’artista romano Piero Dorazio. In entrambe le chiese la luce e l’ombra diventano gli strumenti per «scolpire» lo spazio, «altoparlanti di questa architettura di verità, di calma e di forza» come scrive Le Corbusier dopo aver visitato l’abbazia del Thoronet.
Il legame più stretto tra le chiese di Ronchamp e Roccaraso è però senz’altro quello relativo all’”acoustique paysagiste”. Due mesi dopo l’inaugurazione della cappella, Le Corbusier rivela poi in un articolo su “Casabella-continuità” come la sua ricerca si fosse basata sullo studio dell’”acustica del paesaggio” e sulla regola dei quattro orizzonti («la pianura della Saône, dalla parte opposta i Ballons d’Alsace e ai lati due valloncelli») per rispondere ai quali «furono create delle forme».
Nella sua lettera del 1965 Monaco descrive a don Edmondo la parete continua della chiesa come un «frangivento che definisce uno spazio per il raccoglimento dello spirito» disposto anch’esso secondo i “quattro orizzonti” coincidenti stavolta con i punti cardinali. Con l’ingresso a sud, l’abside a nord, il ‘vuoto’ della finestra panoramica ad ovest e il ‘pieno’ del fianco in cemento armato ad est, essa assume il valore di quinta scenica di uno straordinario teatro naturale che ascolta il suono del vento e degli uccelli e distende il proprio mantello per creare uno spazio sottratto alla vita esterna da destinare al raccoglimento nel silenzio della propria anima. Quello stesso silenzio mistico che Le Corbusier, progettando il convento de La Tourette, definisce «ciò di cui gli uomini di oggi hanno maggiormente bisogno», assieme alla pace. Questa riflessione ci conduce infine a Paul Valèry che nel suo Eupalinos ou l’Architecte (1921), classifica gli edifici in tre tipi: quelli “muti” (“muets”), senza alcun interesse; quelli che “parlano” (“parlent”), limitandosi con ciò a manifestare la funzione per la quale sono stati realizzati; quelli che “cantano” (“chantent”), esprimendo lo stretto legame con l’autore e le motivazioni profonde che questi ha nutrito nel progetto. Sull’argomento Le Corbusier torna nel 1957 quando, proprio a proposito di Ronchamp, dichiara che «le forme fanno rumore e silenzio; alcune parlano, altre ascoltano». È qui il caso di ricordare come per la fede cristiana il silenzio possieda un valore teologico: il profeta Elia sul monte Oreb avverte la presenza divina non attraverso il vento o il tuono, ma ascoltando «la voce di un silenzio sottile» (1Re 19,12); Ignazio di Antiochia nella sua Lettera ai Magnesii (8,2) definisce il Cristo come «Verbo che procede dal Silenzio», ove quest’ultimo termine non ha significato di astensione dal colloquio ma piuttosto di pausa interiore che ci colloca sul piano dell’essere, davanti al Sostanziale.
La chiesa della Madonna della Neve è importante per la storia dell’architettura in quanto infrange un dogma riguardante il Movimento Moderno, secondo il quale non sarebbe possibile “copiare” le opere dei Maestri. Non è così e lo dimostra la cappella fra le montagne d’Abruzzo, che sa “ascoltare” e “cantare” come la Notre-Dame du Haut, ma anche come la cappella di Nossa Senhora da Conceição realizzata a Brasilia dal 1958 su progetto di Oscar Niemeyer, a sua volta legato a Le Corbusier da un rapporto di discendenza, come molti architetti brasiliani.
Se lo scopo di Le Corbusier era quello di creare una machine à prier, capace di suscitare una forte emozione interiore sia nel fedele/visitatore, Vincenzo Monaco ha creato un object a reaction poétique “ascoltando” i monti alberati dell’Aremogna.
Eppure, sembra incredibile, la pace ed il silenzio che costituiscono parte integrante dell’architettura della Madonna della Neve sono stati recentemente messi a repentaglio da un progetto di lottizzazione che avrebbe distrutto la cornice di intensa spiritualità in cui la essa è immessa. Speriamo pertanto che gli sforzi dell’Amministrazione Comunale tesi ad evitare che tale misfatto sia compiuto abbiano successo, consentendo di trasmettere intatta alle generazioni future un’opera così importante per un territorio che ha finalmente preso coscienza di come la qualità architettonica abbia un ruolo preciso anche in un’economia basata essenzialmente sul turismo: qualità espressa non solo dai lacerti del passato profondo, ma le cui radici affondino nella memoria breve di questo nobile territorio.
Fonte: Archivio privato Carlo Mercuri, già autorizzate per la pubblicazione R. Giannantonio, Echi di Le Corbusier in Abruzzo. Vincenzo Monaco e la chiesa della Madonna della Neve a Roccaraso, Gangemi Editore, Roma, dicembre 2014, ISBN 9788849229776