Nel Nord dell’Etiopia esiste una città sacra, Lalibela, situata a 2.500 metri di altitudine, dove si trovano dodici santuari cristiani scolpiti nella roccia tra il XII ed il XIII secolo. La loro costruzione ebbe inizio con l’arrivo di cristiani copti che erano fuggiti dalle persecuzioni musulmane in Egitto e per volontà del re Gebra Maskal Lalibela. Il re voleva fare di quel posto una nuova Gerusalemme in risposta alla caduta di questa in mani saracene, così la topografia del sito riproduce la Terra Santa, rappresentata dalla divisione delle chiese in due gruppi separati da un ruscello chiamato Giordano, in riferimento al fiume Giordano.
Le chiese non furono costruite nel vero senso della parola, ma vennero scolpite nella roccia basaltica del luogo, di colore rosso mattone.
Gli architetti seguirono due differenti modelli architettonici, l’ipogeo e il monolitico: la chiesa ipogea veniva realizzata scolpendo la facciata di una parete verticale della montagna scavando poi la roccia ad essa retrostante per la creazione del volume interno; la chiesa monolitica veniva invece ricavata da un unico blocco di pietra preventivamente isolato dal banco di roccia con una trincea, in modo che solo il basamento restasse attaccato alla roccia madre. Il blocco veniva poi scavato all’interno per creare gli ambienti della chiesa. In entrambi i casi, una volta creato il volume interno, le facciate venivano traforate da finestre e porte e gli ambienti interni scolpiti a formare elementi decorativi ed architettonici come nicchie, marcapiani, volte, pilastri e capitelli, effigi di santi, croci ecc.
Il gruppo nord-occidentale comprende sei chiese: Bet Maryam, Bet Meskel, Bet Danaghel, Bet Mika’el, Bet Golgotha, Bet Medhane Alem; l’altro gruppo, quello sud-orientale, ne comprende altre cinque: Bet Amanuel, Bet Merkorios, Bet Abba Libanous, Bet Gabriel-Rufa’el e Bet Lehem. Una dodicesima chiesa, Bet Giyorgis, si trova a est isolata rispetto a tutte le altre. Una rete di gallerie ricavate nella roccia, collega le principali chiese le une con le altre. La maggior parte delle chiese ha l’entrata a Ovest ed il Sancta Santorum ad Est, questo orientamento ha un preciso significato allegorico: il fedele proviene dalla porta occidentale che rappresenta le tenebre e avanza dal buio dell’ignoranza verso la luce della conoscenza. Il frate portoghese Francisco Alvarez, cappellano dell’ambasciata portoghese, fu il primo europeo a visitare Lalibela e, una volta rientrato in patria, tra il 1521 e 1522 scrisse un racconto di ciò che di strabiliante aveva visto che venne poi pubblicato nel 1540. Frate Alvarez non venne creduto e solo tre secoli più tardi, quando altri viaggiatori riscoprirono Lalibela, gli venne finalmente resa giustizia.
Si accede all’area sacra del primo gruppo attraverso una ripida scalinata in trincea che sbuca direttamente nel cortile dove si erge Bet Medhane Alem (casa del Salvatore del Mondo) che con i suoi ottocento metri quadrati di superfice è considerata una delle maggiori chiese monolitiche del mondo. Ha pianta rettangolare ed è circondata da un portico sorretto da 36 enormi pilastri rettangolari che, insieme a quelli interni, sostengono il tetto a due falde. La chiesa misura all’esterno mt 33,50 per 23,50 ed ha una altezza di mt 11,50; il maggior spessore delle pareti è di mt 2,08. L’ingresso principale è situato sulla facciata ovest, l’interno è suddiviso in cinque navate, una centrale e quattro laterali, formate da quattro file di otto pilastri rettangolari culminanti con capitelli e collegati fra di loro con archi a tutto sesto che inquadrano soffitti piani e quadrati. In corrispondenza di ogni campata la parete è forata da due finestre che diffondono all’interno una luce fioca e suggestiva, quella in basso ha forma di croce latina, quella in alto è rettangolare con mensoline rivolte all’interno e conclusa da un arco a tutto sesto.
Dal cortile di Bet Medhane Alem, attraverso un tunnel, si passa in un altro cortile a forma trapezoidale, dove sono le chiese di Bet Maryam, Bet Meskel e Bet Danaghel, la prima è di tipo monolitico mentre le altre sono di tipo ipogeo. Bet Maryam, che significa la “Casa della Vergine Maria”, considerata la più antica di tutte, ha una pianta rettangolare di mt 15 per 11 ed una altezza di mt 13, ha porte su tre lati protette da un portico, è l’unica di questo gruppo ad avere due piani; in quello superiore, non aperto al pubblico, sono conservati tesori e reliquie religiose. Due file di pilastri quadrati suddividono la chiesa in tre navate la chiesa, l’interno è assai interessante per una tribuna con finestra da dove, secondo una tradizione, re Lalibelà assisteva alle funzioni, e per i capitelli e i soffitti scolpiti e dipinti con motivi geometrici. Le finestre sono di diverse fogge, a forma di croce latina, greca, gammata, maltese, di Sant’Andrea a svastica ecc.
Sul lato Nord del cortile si affaccia Bet Meskel o “casa della Croce”. E’ una grotta di mt 14 per 7 e la facciata presenta due belle finestrelle, una delle quali a forma di svastica. Sul lato Sud si affaccia Bet Danaghel o “casa delle 50 Vergini”, di mt 5 per 5, in parte sporgente, in parte in grotta che ha una cupoletta sopra l’altare.
Per raggiungere le due chiese successive, Bet Mika’el e Bet Golgotha, occorre uscire dal cortile, passare attraverso la porta che si trova accanto a Bet Danaghel e percorrere in discesa una serie di sentieri e scalinate anch’esse intagliate nella roccia. Il cortile su cui esse affacciano è situato a sei metri sotto il piano del cortile della Bet Maryam e a mt 10,50 sotto il piano normale della roccia. L’interno di Bet Mika’el è a tre navate, belle ed eleganti sono le finestrelle a forma ogivale con le mensoline rivolte all’interno; entrando nella chiesa, sulla parete sinistra, si apre un passaggio che conduce a Bet Golgotha vietata alle donne e famosa perché conserva la tomba simbolica di Cristo e la tomba di re Lalibelà. L’interno, diviso in due navate da pilastri cruciformi, mostra alcuni pregevoli esempi di antica architettura etiope quali bassorilievi e altorilievi raffiguranti Santi ed Angeli.
Le foto del reportage proposte sono di Enzo Santeusanio. Tutti i diritti riservati.