Millenovecentosettanta, periferia di Taranto, un cantiere con un grande edificio in costruzione, a un tavolo di lavoro dei muratori è seduto un anziano signore con un colbacco in testa che disegna e verifica i lavori in corso: si tratta di Gio Ponti, ottanta anni, architetto già celebre per le sue architetture milanesi, tra cui tre bellissime chiese, e per alcune prestigiose costruzioni in Europa e America Latina.
L’architettura che si avvia al completamento è quella della Concattedrale di Taranto, commissionata qualche anno prima all’architetto milanese dall’arcivescovo di Taranto, monsignor Guglielmo Motolese, che aveva intuito che l’incrocio tra Viale Magna Grecia e via Dante, all’interno delle nuove espansioni della città dei due mari, era il luogo giusto per la costruzione di un landmark architettonico a scala urbana, dal carattere religioso e evocativo.
Questo prende forma con la grande parete traforata che spicca in altezza e attrae lo sguardo: il riferimento, ovvio in una città marinara, è stato il più delle volte portato a una vela, ma si potrebbe anche pensare al grande timpano svettante sul territorio della cattedrale di Orvieto, e comunque tema analogo era stato trattato da Ponti nelle pareti che legano il fronte di San Francesco al Fopponino agli edifici laterali, nella sua Milano.
Due pareti accoppiate in cemento armato bianco, alte 41 metri e larghe 22, emergono con un traforo di ottanta finestre, in effetti bucature aperte sul nulla, contenuto tra due strutture che ospitano le campane. Anche il corpo di fabbrica basamentale, cui si accede tramite una scalinata, presenta superiormente un ricamo di cemento armato lanciato verso l’alto.
Questo disegno grandioso fa dell’azzurro del cielo il suo fondale principale, ma si va anche a specchiare con un effetto incantato nelle tre grandi vasche d’acqua antistanti.
“Ho pensato: due facciate. Una, la minore, salendo la scalinata, con le porte per accedere alla chiesa. L’altra, la maggiore, accessibile solo allo sguardo e al vento: una facciata per l’aria, con ottanta finestre aperte sull’immenso, che è la dimensione del mistero”. (Gio Ponti)
L’ingresso all’aula sacra, attraverso l’imponente portale traforato, è costruito a mo’ di nartece preparatorio, con un vestibolo trasversale ribassato, sormontato dal coro. Preparazione all’evento, alla sorpresa di scoprire uno spazio colorato unicamente di bianco e verde (anche qui con riferimenti rinascimentali), muri traforati, due affreschi di mano dell’architetto che rappresentano quegli angeli che Ponti auspicava andassero a poggiarsi sulle finestre sul nulla del Fopponino e di Taranto.
Lo spazio sacro presenta una grande navata con le sedute affiancate da due deambulatori per lo scorrimento dei fedeli: la separazione avviene tramite pilastri in cemento armato su ognuno dei quali va a poggiare una coppia di travi, con un attacco a “V” e la cui sequenza supporta il solaio che si inclina verso l’alto, sprigionando un forte effetto luminoso sull’intero presbiterio.
L’altare è fiancheggiato da due pilastri che si rastremano e poi si aprono a definire la base per due croci-ancore: qui è rappresentato un sacro ingresso di una città marinara.
Nello spazio che precede l’altare, sulla sinistra sono 4 sedute per i sacerdoti e la cattedra per l’Arcivescovo, sulla destra 5 sedili per i canonici. Su entrambi i lati questi scranni sono sormontati da due coppie di piccoli matronei, culminanti a cuspide.
Oltre l’altare, e rivolte verso di esso, sono poste altre file di panche, creando un doppio auditorium per la disposizione dei fedeli e esaltando la centralità dell’altare, in riforma dell’impianto basilicale come voluto dalla Chiesa post-conciliare.
Il fondale del presbiterio è trattato come un origami bianco e verde e ospita il tabernacolo sormontato da un crocifisso e da una coppia di pitture con la Madonna e l’Arcangelo Gabriele. Il traforo continuo, che lo disegna, svela un passaggio a mezza altezza che collega i due ballatoi laterali.
L’intero disegno dell’architettura interna, delle strutture e degli arredi, rimanda a uno slancio verso l’alto leggibile come una traslitterazione del Gotico nel Moderno, con cui può essere interpretata la sequenza di architetture sacre di Gio Ponti, di cui la Concattedrale costituisce una “summa” e l’estremo capolavoro.
Carlo Pozzi
- Nota: le fotografie, dell’autore, sono state scattate prima del provvidenziale restauro, ultimo di una serie di piccoli interventi, concluso nel 2019