Palma di Maiorca, cattedrale di Santa Maria, A.D. 1904
Il radicale cambiamento, quasi uno stravolgimento, degli equilibri all’interno dell’imponente cattedrale maiorchina attuato con la rimozione del retablo gotico, la realizzazione del nuovo altare e la ridefinizione delle superfici e suppellettili al suo intorno, necessita di una strategia progettuale che l’autore enuncia con fermezza. Affascinato dall’armonica proporzione dello spazio, Antoni Gaudí chiarisce l’obiettivo del suo intervento, quello di restituire alla cattedrale ciò di cui ha bisogno, vale a dire «spazio e vuoto, assenza di materia, aria trascendente: ecco quel che abbisogna la cattedrale, ecco quel che essa deve contenere.»
Rothenfels, Castello, A.D. 1927
Nel castello del villaggio della Bassa Franconia, la cappella viene radicalmente riconfigurata con la rimozione dell’intero apparato liturgico, iconografico e decorativo preesistente. Le pareti, depurate dagli stucchi, vengono restituite alla loro bianca e primaria costituzione e sul pavimento in arenaria viene posta la predella per il nuovo altare in legno di quercia rivestito in lamina d’argento.
Tutto doveva rispondere ad un ideale di purezza in cui l’edificio, liberato dagli ornamenti, diveniva l’espressione della propria originaria essenza. Come per Gaudí a Mallorca si è trattato perciò del ritorno alle origini. Anche per Rudolf Schwarz la cappella doveva esprimere spazio e vuoto. «Per prima cosa svuotammo la cappella. C’erano dentro fin troppi orpelli, statue e quadri, voluti dagli abitanti del paese… Ci rendevamo conto che il nostro agire avrebbe distrutto qualche cosa, perché quello che facemmo fu inizialmente la creazione di uno spazio vuoto […] In realtà non sarebbe dovuto nascere un vuoto, ma un pieno diverso.»
Certamente non è un obbligo scomodare due grandi figure del passato, due monumenti del progetto della nuova architettura ecclesiale del secolo scorso, per introdurre, quasi a difendere, un intervento recente in Alto Adige. Nè la mia vuole essere un’apologia alla purificazione di ogni spazio sacro dai segni che il passato ci ha consegnato; anzi è ben lungi da questo il mio pensiero. Ma gli interventi prima richiamati sono dei veri capisaldi di quel intendere il progetto dello spazio sacro all’interno della preesistenza che postula la necessità della rimozione di qualcosa per dare senso compiuto ad una nuova e vitale dimensione contemporanea del religioso. All’interno di questo filone mi è parso corretto porre gli interventi del team costituito dei due giovani architetti tirolesi, David e Verena, e del loro padre Franz Messner, scultore, da poco e prematuramente scomparso.
Lichtenstern, o Stella è un località situata nel magnifico altopiano del Renon, poco sopra Bolzano. Il borgo ospita la Haus der Familie, fondata nel1984 dal Katholischer Familienverband Südtirol, l’associazione cattolica delle famiglie dell’Alto Adige. Il fine dell’associazione è la realizzazione di attività formative culturali e sociali per la famiglia cattolica.
Messner Architects vengono incaricati di ristrutturare e valorizzare la piccola chiesa dedicata a San Giuseppe immersa nel bosco, risalente al 1954, che funge da cappella del complesso.
Il progetto consiste nella riconfigurazione della chiesa e dei locali annessi e nella creazione nel sottotetto inutilizzato di uno spazio per la meditazione. Non mi soffermo a commentare l’intera realizzazione, ultimata nel 2017, ma voglio sottolineare solo alcuni aspetti centrali. Il primo atto è quello di liberare l’interno della chiesa dalle incrostazioni del suo pur recente passato. In ambito ecclesiale, la rimozione è sempre un passaggio estremamente critico, un atto delicato, da intraprendere solo se necessario per non causare una dannosa perdita.
In questo caso il dialogo con il committente ha deliberato la necessità di questo momento iniziale per determinare, ancora una volta lo spazio e il vuoto. Nella nuova configurazione i luoghi liturgici sono posti in modo perentorio; monoliti che poggiano su lastre di vetro – quasi un paradosso – per segnare la loro grave e centrale funzione, la loro essenza.
Il progetto disegna una nuova geografia. Il recinto sacro viene violato con l’apertura della parete, prima absidale, al bosco retrostante; il paesaggio così entra a far parte dello spazio religioso. I diversi livelli della pedana presbiterale e dei fedeli vengono collegati in maniera fluida attraverso una raccordo in pendenza.
Il dialogo dei nuovi elementi liturgici nello spazio e con lo spazio è centrale. I poli liturgici sono i protagonisti dello spazio. Non c’è alcuna azione mimetica, di ambientamento. Questo è ciò che colpisce nell’intervento che distingue l’operazione altoatesina da un fare del progetto di adeguamento alla riforma liturgica delle chiese che troppo spesso è più attento a non creare scompiglio – nascondendosi – che non a proporsi come alternativo all’esistente. Nella maggior parte dei casi infatti si assiste a interventi che si conformano all’esistente piuttosto che misurarsi con la liturgia, rivendicando, come in questo caso, il valore dell’innovazione.
Le immagini delle gallery sono a cura di Davide Perbellini e studio Messner.