Intervista a Mario Botta
Anzitutto, Architetto, quale è stato il suo pensiero al momento della ricezione di questo invito all’Udienza Papale in Cappella Sistina – dedicata agli Artisti in quel 23 Giugno?
Ero già stato in Cappella Sistina per l’incontro di Papa Benedetto XVI con gli artisti, avvenuto il 21 Novembre 2009. Si è trattato quindi di un ritorno a un incontro eccezionale, che ricordo piacevolmente per l’occasione di poter incontrare molti artisti che, come me, si presentavano sorpresi ed emozionati per l’attenzione dimostrata da Sua Santità nei confronti del nostro lavoro. L’ambizione nascosta di ogni artista è quella di dare un segnale che vada al di là del finito, al di là della concretezza dell’opera – sia essa pittorica, scultorea o, come nel mio caso, architettonica. Dunque, il riconoscimento da parte di Papa Francesco di questo valore intrinseco che diventa anche una tensione ideale non può che fare piacere.
Poi, certamente, la curiosità di incontrarlo proprio nella Cappella Sistina, all’interno quindi di un’opera d’arte che è una testimonianza di una memoria ancestrale che ci appartiene: artisti circondati da artisti che hanno operato secoli fa e continuano a nutrire il nostro immaginario collettivo con la bellezza delle loro creazioni.
Papa Francesco nel suo discorso ha affermato:
“L’amicizia della Chiesa con l’arte è dunque qualcosa di naturale. Ma è pure un’amicizia speciale, soprattutto se pensiamo a molti tratti di storia percorsi insieme, che appartengono al patrimonio di tutti, credenti o non credenti. Memori di questo, aspettiamo nuovi frutti anche nel nostro tempo, in un clima di ascolto, di libertà e di rispetto. La gente ha bisogno di questi frutti, di frutti speciali.”
Come al giorno d’oggi Arte e Chiesa possono continuare la strada del dialogo – un dialogo spesso interrotto, spesso risultato difficile?
L’amicizia è un sentimento spontaneo, non programmabile; ma soprattutto implica una reciprocità che si manifesta con il dialogo e lo scambio. L’artista comunica attraverso la sua opera che sente come una speranza, come un ideale di qualcosa che non è immediatamente tangibile, ma che vuole essere un dono per gli altri. L’opera d’arte è creata per essere accolta; solo il suo riconoscimento da parte degli altri la rende tale. Ecco perché le parole di Papa Francesco, che conferma che l’opera d’arte deve essere ricevuta da parte dei fedeli, sono il segnale che questo dialogo continua, nonostante tutte le difficoltà, e diventa grande attraverso la storia e la memoria del grande passato.
Riprendo le parole del discorso di Papa Francesco:
La creatività dell’artista sembra così partecipare della passione generativa di Dio. Quella passione con la quale Dio ha creato. Siete alleati del sogno di Dio! Siete occhi che guardano e che sognano.
Le chiedo, Architetto, quali sono state le sue opere per il Sacro e se vi è qualche opera tuttora in corso di realizzazione.
Ho realizzato una dozzina di architetture del sacro. In Svizzera, la chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, la cappella di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro e il modello ligneo (smantellato) del San Carlino sul lago di Lugano; in Italia, la chiesa del Beato Odorico a Pordenone, la chiesa di San Pietro Apostolo a Sartirana di Merate, la chiesa Papa Giovanni XXIII a Seriate, in provincia di Bergamo, la chiesa di Santa Maria Nuova a Terranuova Bracciolini, in provincia di Arezzo e la chiesa del Santo Volto a Torino; in Francia, la cattedrale della Resurrezione di Evry; in Austria, la Cappella Granato a Penkenjoch; in Isreale, la sinagoga Cymbalista e centro dell’eredità ebraica a Tel Aviv e, in Corea del Sud, la basilica di Nostra Signora del Rosario a Namyang. Due sono ancora in corso di realizzazione: la chiesa di San Rocco a San Giovanni Teatino, in provincia di Chieti e la chiesa greco-cattolica della Divina Provvidenza a Leopoli, in Ucraina.
Nella pubblicazione intitolata “Il gesto sacro”, edita nel 2020, lei, Architetto, ha rivelato come, solo nella maturità e attraverso la progettazione di spazi sacri, abbia definitivamente guadagnato i principi base della sua disciplina – il perimetro, il muro, la soglia, la gravità, la luce, la trasparenza, il rapporto tra finito e infinito.
(Sono temi imprescindibili nella costruzione di spazi vivibili, a misura d’uomo; punti di resistenza e di nuovo inizio, a fronte di molte derive nell’evoluzione delle città).
Come lo studio del Sacro l’ha portata fino a qui?
Ho cominciato in maniera prosaica, cioè semplicemente affrontando l’impegno principale richiesto all’architetto: quello di risolvere l’organizzazione degli spazi di vita dell’uomo. In ogni progetto è fondamentale un ragionamento antropologico perché lo spazio dell’uomo cambia forme espressive nel corso dei secoli. Continuo a sentirmi un artigiano che ha acquisito una storia centenaria e che, nel contempo, può lavorare con gli strumenti offerti dalla modernità.
Nella vita quotidiana, l’uomo ha sempre bisogno di ritagliarsi momenti di silenzio, di meditazione; un bisogno legato ai valori dello spirito. Si tratta di un innato anelito al sacro, all’infinito, ma è possibile parlare del bisogno di “infinito” solo attraverso il “finito”, ossia dentro la compiutezza dell’opera costruita. È con questa consapevolezza che l’architetto modella gli spazi per una migliore qualità della vita, non limitandosi, però, alle risposte tecnico-funzionali: l’architetto insegue segni e spazi capaci di parlare allo spirito e alla sensibilità dell’uomo in modo che l’ideale di bellezza a cui aspira trovi compimento nella forma costruita.
È stato il confronto con lo spazio del sacro che mi ha portato a riscoprire le ragioni fondative del costruire: i concetti di gravità e di materia che permettono di radicare l’opera alla terra-madre, i concetti di limite e di soglia che implicano una transizione, un passaggio; l’idea della luce come generatrice dello spazio; il gioco delle proporzioni e l’uso sapiente degli elementi costruttivi.
Architetto, ripensando alle parole pronunciate da Papa Francesco in quel 23 Giugno e riprendendo in particolare la frase:
“Aiutateci a intravedere la luce, la bellezza che salva.
L’arte è sempre stata legata all’esperienza della bellezza.”
Le chiedo: quali sono le prospettive aperte dal discorso di Papa Francesco del 23 Giugno?
Papa Francesco parla di un’attesa che dona coraggio, che apre a prospettive che ognuno declina nel proprio linguaggio artistico (e ricordiamo che i linguaggi artistici sono infiniti) e che diventa il desiderio di avere qualcosa che va oltre il finito. Papa Francesco ha detto agli artisti che gli uomini hanno bisogno di quei valori apparentemente nascosti o metaforici che travalicano la mera funzione e il dato tecnico. Creare un’opera è di per se un atto sacro e il bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con la dimensione dell’infinito è una necessità primordiale nella ricerca della bellezza.
È un messaggio che ritengo importante, anche grazie al silenzio che lo ha accompagnato. Mi ha molto colpito e commosso l’umiltà e la grande disponibilità dimostrata da Sua Santità che, alla fine dell’udienza, ha voluto salutare individualmente ogni artista. Quel gesto individuale ha rappresentato un saluto all’umanità intera.
a cura di Michela Beatrice Ferri
le foto per gentile concessione dello studio Mario Botta Architetti