Architettura religiosa e integrazione culturale: il premio Abitare il Mediterraneo 2013
La coesione sociale è una delle principali sfide che i paesi europei si pongono per il prossimo decennio: non a caso lo slogan “inclusive, innovative and secure societies” è una delle chiavi di lettura dei programmi europei di ricerca e cooperazione Horizon 2020.
Sotto tale prospettiva, la questione religiosa è certamente decisiva: per avere società coese, la dimensione pubblica delle diverse confessioni deve essere assimilata e valorizzata, anche in termini di innovazione culturale e sociale, superando una visione laica delle società occidentali, in favore di una libertà religiosa intesa anche come contributo alla vita civile (si vedano le recenti considerazioni di Luca Diotallevi, La pretesa. Quale rapporto tra Vangelo e ordine sociale?, Rubbettino 2013). La pluralità delle esperienze che convivono nelle società occidentali (si veda da ultimo Le religioni nell’Italia che cambia, curato da Enzo Paci per Carocci, 2013) non può essere ignorata; anzi, gli aspetti spaziali dell’integrazione religiosa costituiscono uno straordinario laboratorio potenziale di sperimentazione architettonica. Peraltro, la questione non può essere impostata solo in chiave europea o occidentale: il Mediterraneo è il naturale alveo culturale nel quale il dialogo tra le religioni può portare a un ripensamento complessivo degli equilibri politici, delle diseguaglianze socio-economiche e delle barriere culturali.
Si può dunque apprezzare come il tema proposto dal Premio “Abitare il Mediterraneo 2013” sia di assoluta attualità: L’architettura religiosa per l’integrazione culturale. L’iniziativa è stata promossa dal Consiglio Nazionale degli Architetti PPC, sotto l’egida dell’Unione Mediterranea degli Architetti e con il contributo operativo della Consulta Regionale degli Ordini degli Architetti di Sicilia. Il premio ha l’obiettivo di segnalare opere realizzate nei paesi che circondano le coste mediterranee.
Considerando i progetti presentati e quelli premiati, i professionisti dei paesi mediterranei si presentano preparati alle sfide culturali sopra sinteticamente evocate? Il tema è sentito con pari intensità su tutte le sponde del nostro mare?
I progetti auto-candidati al premio (poco più di trenta) offrono una panoramica necessariamente poco sistematica, basata su esperienze individuali o locali: l’episodicità delle opere presentate non fa emergere un percezione diffusa del problema o un patrimonio di buone prassi condivise. La concentrazione dei temi in ambito italiano e cattolico (nella sezione nuove costruzioni oltre il 50% delle proposte erano complessi parrocchiali italiani) manifesta da un lato la persistente attenzione al tema religioso nell’architettura della nostra penisola, dall’altro il ruolo centrale che la Chiesa cattolica continua ad assumere nell’interpretazione e nell’accompagnamento delle complessità sociali del paese. Tuttavia, l’approssimativa o la parziale conoscenza del dato religioso traspare da molti progetti, piuttosto smuniti anche dal punto di vista del rapporto tra religioni e società. Un progetto di ricerca organico potrebbe certamente offrire casi-studio più articolati e geograficamente meglio distribuiti, su cui fondare anche politiche per la formazione e l’aggiornamento professionale dei progettisti: in questa edizione del premio sono sostanzialmente mancate candidature di centri ecumenici, di strutture interreligiose o di luoghi di spiritualità condivisa che, pur con molte contraddizioni e ingenuità, sono oggetto di riflessioni progettuale e culturale.
Per la sezione “nuove costruzioni” il premio è stato assegnato al complesso Senhora Boa Nova di Cascais (Portogallo), progettato da Filipa Roseta e Francisco Vaz Monteiro, che associa attorno a un’ampia corte urbana funzioni liturgiche, educative, assistenziali e socio-culturali in un complesso che ridisegna un quartiere “ghetto” (la Fine del mondo) su un promontorio prospiciente il mare.
Per la sezione “recupero e/o riconversione di architetture esistenti” il premio è stato vinto dall’intervento sulla chiesa dei Santi Giorgio e Dionigi a Catania, da decenni in stato di abbandono e restaurata per essere destinata ad attività culturali e aggregative promosse dalla Caritas diocesana (progetto di Antonio Carcione, Giuseppe Amadore, Alessandro Zanchi, Giovanni Calabrese e Carmelo Russo).
Se, ai sensi del bando, la “qualità architettonica dell’idea progettuale” ha costituito l’elemento di forza dei progetti premiati, le declinazioni socio-religiose più interessanti emergono forse dai quattro progetti “menzionati”. L’intervento progettato da Luigi Leoni, uno dei protagonisti dell’architettura di chiese degli ultimi decenni, è quello che più pone in evidenza lo snodo tra architettura liturgica (e quindi confessionale) e coesione sociale (necessariamente interreligiosa, in Palestina): la cappella cattolica sulla Grotta del Latte a Betlemme (progettata con Chiara Rovati) resterà certamente un punto di riferimento nella rinnovata topografia religiosa di Terra Santa. Spostandosi in Italia e ragionando sul contributo delle chiese cattoliche alla promozione civile, è stato premiato il complesso parrocchiale Santa Maria di Nazareth di San Cataldo (Cl), progettato da Giuseppe di Vita: in tale caso, è stata riconosciuta la capacità di declinare l’attenzione liturgica con la sensibilità sociale, espressi in un contesto in cui la chiesa può proporsi come riferimento credibile e autorevole per la coesione sociale del quartiere. Anche l’opera presentata da Fabio Alfano, la cappella Maria Donna di Pace, è stata riconosciuta meritevole di menzione, per la cura dell’inserimento ambientale del luogo di culto all’interno di un complesso destinato ad attività sociali: la cappella fa infatti parte del Borgo della Pace di Villafrati (Pa), centro di spiritualità e accoglienza per ragazzi a rischio, indigenti ed extracomunitari, e va ad affiancarsi a spazi per riflessione, apprendimento, accoglienza e incontro sostanzialmente autocostruiti e finanziati dalla solidarietà internazionale. In ambito islamico, è stato menzionato il progetto di moschea per Telagh, commissionato dalla locale comunità musulmana all’architetto italiano Giovanni Ingallinera.
La giuria ha poi attribuito una menzione speciale al lavoro di Matilde Cassani (Spiritual devices: sacred spaces in profane buildings): pur non trattandosi di un’architettura specifica, ma di un ragionamento su allestimenti temporanei e attrezzature per adibire al culto spazi secolari, è stata apprezzata la capacità di analisi della studiosa, arricchita da una visione progettuale e positiva di situazioni di emergenza o di degrado. Tale tipo di ricerca emerge, per qualità e intensità, all’interno del panorama dei progetti presentati.
Infine, il premio per il partecipante iscritto agli Ordini architetti siciliani, bandito dalla Consulta Regionale degli Ordini degli Architetti PPC di Sicilia, è stato assegnato al gruppo di Giuseppe Pellitteri, Dario Riccobono, Vincenzo Venezia, Enzo La Scalia, Salvatore Interbartolo, Francesco Di Maio, Alessia Riccobono, progettisti del complesso parrocchiale di San Gregorio ad Agrigento.
La premiazione dei vincitori e la mostra dei progetti sono state presentate la sera del 15 giugno 2013 nel quadro del Terzo Meeting Internazionale “Architects meet in Selinunte_L’architettura che verrà”, organizzato da AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica) e presS/Tfactory.
Certamente il tema proposto, con lungimiranza, dagli organizzatori del Premio sarà all’ordine del giorno nei prossimi decenni, e saranno necessarie iniziative di formazione, approfondimento e riflessione rivolte sia agli amministratori del territorio, sia ai progettisti, per i quali – tra l’altro – si apriranno interessanti ambiti di attività professionale, non appena le diverse religioni vedranno riconosciuto e attuato il proprio diritto a fruire di spazi di culto appositamente progettati per ogni culto e per ogni luogo, intesi anche come contributi originali alla ricerca di qualità urbana e paesaggistica.