Sant’Aniello a Napoli: un varco a un passo dall’antichità

di Ugo Carughi

Un grande vuoto rettangolare apre la pavimentazione e ne fa punto di osservazione sulle emergenze archeologiche sottostanti. Qui si trova il primo caso di uso di travi in vetro strutturale che sorreggono una passerella a sua volta in vetro strutturale: un caso esemplare di tecnologia usata in funzione di fruizione artistica che guarda sui resti della città greca di Neapolis.

L’area urbana

Il sito urbano di Caponapoli corrispondente al punto più alto della città greca, occupa l’angolo interno determinato dai margini settentrionale e occidentale del primitivo nucleo urbano di Neapolis: margini oggi identificabili – seppure con tutte le necessarie approssimazioni – con via Foria, a settentrione e via Costantinopoli, a occidente. La configurazione iniziale e le successive trasformazioni di questa parte dell’acropoli devono necessariamente intendersi intimamente collegate all’importanza naturale del sito e alle vicende che hanno interessato l’intera area urbana, una delle più sensibili al mutare dei tempi e delle circostanze storiche. Le origini furono improntate dalle necessità di difesa.

In quest’area si dovevano concentrarsi anche importanti edifici religiosi dedicati al culto di Diana, di Apollo, di Cerere e dovevano svolgersi solenni riti con processioni e sacrifici.

In epoca romana, quando la zona fu scelta da numerose famiglie patrizie per le loro dimore, il luogo, arricchito da giardini e da frutteti, perse la connotazione esclusivamente religiosa.

Le costruzioni di carattere difensivo continuarono a determinare uno degli aspetti prevalenti del sito anche in epoca angioina (ritrovamenti in largo S. Aniello e sotto la clinica di Semeiotica Medica) e, poi, in quella vicereale. La nuova cinta di don Pedro di Toledo – che anche in altri punti della città doveva lasciare segni indelebili – disegna qui una configurazione nuova dell’area, attestandosi ai piedi della collina, innanzi al vallone in cui scorrevano le lave dei Vergini e determinando – a seguito del riempimento tra il ciglio della collina e le nuove mura – un ampliamento a Nord del ripiano fortificato.

Per la sua salubrità e la sua quiete, derivante dal parziale isolamento dovuto alla quota sopraelevata, il luogo fu scelto da Maria Longo, agli inizi del Cinquecento, per la fondazione di quello che poi diventerà l’ospedale degl’Incurabili. La condizione originaria del luogo, molto più alto di quanto appare oggi, si è persa a seguito dei terremoti e degli smottamenti del costone sul versante dei Vergini. Ancora, il Celano ricorda che i napoletani solevano andare a passeggiare sulla collina, attratti dalla sua bellezza e dalla vista incantevole sulla città, con adunanze serali di uomini eruditi e letterati.

In quegli stessi anni vennero fondati, in un raggio assai ristretto, la chiesa e monastero di Sant’Andrea delle Dame (1584 1585), le chiese della Madonna delle Grazie, modificata e ultimata  nel 1519, di Santa Maria del Popolo agli Incurabili (1526) con l’omonimo Ospedale fondato nel 1521 e, ancora, di Santa Maria Regina Coeli, con il chiostro del Picchiatti e gli stucchi seicenteschi, senza contare il teatro antico, recentemente per buona parte portato in luce e restaurato, oltre alle tante altre chiese nell’immediato intorno urbano.

La chiesa

Le origini della chiesa di Sant’Aniello sono antichissime. La sua fondazione  risale infatti al VI secolo ed è strettamente connessa alla storia della vita del santo. Secondo la tradizione,  nel  punto più alto della città dove era l’antica acropoli di Neapolis, era custodita un’immagine della Madonna ritenuta miracolosa; vi venivano i genitori di Aniello  per ottenere la grazia di un figlio. Il piccolo Agnello mostrò presto i segni di una nascita avvenuta per intercessione divina scegliendo una vita di solitudine e di  preghiera proprio nel luogo dove era conservata l’immagine della Madonna che fu poi dedicato a Santa Maria Intercede. Alla sua morte, Aniello fu sepolto nella stessa chiesa, il suo culto ottenne grande favore e si diffuse in tutto l’alto e basso medio evo.La prima notizia certa dell’edificio risale al 1058. Dalla fine del XIII secolo  la chiesa fu governata da un rettore membro della congregazione della Santa croce; nel 1517 l’abate di Sant’Aniello rinunciò ai benefici in favore del papa Leone X, che a sua volta li concesse ai canonici regolari di Sant’Agostino della congregazione del Salvatore con l’indicazione di costruire una nuova chiesa. Sarebbe diventata una fabbrica ben più grande, in grado di rendere adeguato onore al culto di Sant’Aniello che stava acquisendo sempre maggior prestigio, al punto da divenire il settimo patrono della città. In occasione di questo ampliamento la primitiva chiesetta di Santa Maria Intercede fu inserita nel nuovo corpo di fabbrica con funzione di navata, in corrispondenza del transetto della nuova chiesa, che veniva quindi dedicata a Sant’Aniello, divenuto il settimo patrono della città. Committente di questo ampliamento e dell’esecuzione dell’altare maggiore fu Giovanni Maria Poderico, arcivescovo di Taranto nel 1510, regio consigliere e Cappellano Maggiore di Ferdinando il Cattolico. Poderico apparteneva ad una delle famiglie più importanti del Seggio di Montagna, legata alle personalità di spicco dell’umanesimo napoletano quali Pontano, Summonte e, in particolare, Jacopo Sannazzaro.

Le opere d’arte più importanti

La nuova chiesa, a navata unica, presentava una ricchezza di decorazioni di marmo di straordinaria qualità: portali, monumenti sepolcrali, altari, lapidi e sculture realizzate in bianchissimo marmo di Carrara. La scelta del marmo come materiale privilegiato rispondeva ad un preciso ideale rinascimentale, che riconosceva nel marmo il materiale usato dagli antichi, incorruttibile e capace di donare eternità all’opera rappresentandone i significati simbolici.

Tra le opere più significative sottratte all’incuria e ai furti che hanno causato gravissimi danni alla chiesa, spicca l’altare maggiore  con la bellissima tavola centrale a mezzo rilievo raffigurante la Madonna delle Grazie tra San Cataldo, in ginocchio sul lato sinistro, che presenta il committente Giovanni Maria Poderico, arcivescovo di Taranto, in piedi accanto a lui. Sul lato destro, Sant’Aniello, con il padre Francesco nell’atto atto di offrire, in ginocchio, un bambino – probabilmente Sant’Aniello appena nato – alla Madonna. L’opera, datata agli anni 1517-20, è di Girolamo Santacroce (1502-1537) e appartiene alla prima fase dell’attività dello scultore, quando si avverte ancora molto forte l’influenza dei due scultori spagnoli, attivi a Napoli nel primi decenni del Cinquecento, Bartolmé Ordonez e Diego de Siloe, ma recepisce il linguaggio toscano riferito alla liberazione delle figure dal telaio architettonico e disposte secondo uno schema piramidale, con la Madonna al centro, sollevata sulla mezza luna, con le sottostanti anime tra le rocce del purgatorio, secondo una meccanica compositiva rilevabile nella Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista, Francesco d’Assisi e Sigismondo de’ Conti (Madonna di Foligno), dipinta da Raffaello tra il 1510 e il 1511 e conservata nella Città del Vaticano.

Un’altra opera di grande importanza è collocata nella cappella Lottieri nella navata. Qui è custodito un bassorilievo in marmo raffigurante la Madonna delle grazie  con le anime del purgatorio attribuito a Giovanni Antonio Tenerello, uno scultore della cerchia di Giovanni da Nola. A seguito di un furto della lastra inferiore con le anime purganti si è salvato solo un frammento ricollocato nel corso del restauro nella sua posizione originaria. Nella cappella di Santa Dorotea, in prossimità dell’ingresso secondario del transetto, è conservata la scultura raffigurante la santa attribuita a Giovanni da Nola sin dalla fine del Cinquecento e apprezzata al punto da accostarla all’opera di Michelangelo. La scultura, datata al 1534, è citata nelle guide antiche della chiesa come opera di particolare valore. La testa, già conservata nel deposito di san Martino, è stata di recente ricollocata sul busto della statua. L’altare, pur esso ridotto a pochi resti a seguito dei furti, reca come paliotto un affresco in monocromo raffigurane una Pietà attribuito ad Agostino Tesauro.

La storia recente

L’attuale chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, sull’acropoli dell’antica Neapolis, risale ai primi decenni del ‘500. Danneggiata dai bombardamenti del 1944, fu abbandonata per un ventennio, subendo importanti danni e spoliazioni. Negli anni ’60 furono ricostruiti il tetto e l’esonartece a cura della Soprintendenza di Napoli. Negli anni ’70 alcuni saggi, seguiti da estesi scavi, misero a nudo importanti reperti, studiati e documentati nel corso dell’intervento di restauro: tre successivi allineamenti murari della città greca del IV- III secolo a. C. nella navata e un quarto nel transetto, dietro l’altare maggiore, attestati sulla parte alta della collina, orientati secondo una direttrice Nord-Ovest/Sud-Est, parallelamente – all’incirca – all’attuale via Foria, fungevano anche da muri di contenimento del costone degradante verso l’attuale piazza Cavour. Ancora, muri romani in opus reticulatum del I secolo d. C. inframmezzati a tombe altomedioevali. In prossimità dell’altare maggiore, le tracce dell’abside di una cappella paleocristiana. Sotto alcune cappelle, rese visitabili, le tipiche tombe con sedile “a scolo”. La minuziosa ricognizione, il rilievo e  la schedatura hanno consentito la ricomposizione del gigantesco puzzle di reperti marmorei in tutta la chiesa, consentendone la ricollocazione.

Il progetto

Il progetto ha previsto d’aprire un grande vuoto rettangolare di ml. 9,65 x 5,15 nel ricostituito calpestio della navata, con percorsi di adeguata larghezza tra i bordi del vuoto e le cappelle laterali. E’, così, sincronicamente visibile all’interno della chiesa l’intera vicenda storica della città, dall’epoca di fondazione a quella contemporanea, attraverso i reperti di epoche lontane nel tempo, ma vicine nello spazio. D’altra parte, diversamente che in altre chiese della città, quali il Duomo e San Lorenzo, qui le variabilissime quote sotterranee non avrebbero consentito una visita dell’area archeologica autonoma da quella della chiesa.

Dalla navata si può accedere, mediante un gradino intermedio, ad una passerella continua in vetro strutturale collocata lungo il perimetro interno del grande vuoto, a  quota  – ml. 0,40, sorretta da travi in vetro strutturale lunghe circa 2 metri, agganciate alle travi in acciaio che, arretrate rispetto ai bordi del vuoto, reggono il solaio della navata. La luce libera delle travi in vetro è dimezzata mediante angolari in acciaio che le sospendono allo sbalzo perimetrale del solaio della navata, rinforzato a tale scopo da travi longitudinali HEA 140, disposte lungo i bordi del vuoto rettangolare. Di travi in vetro a sbalzo non si conoscono altri esempi, almeno in Italia. La balaustra in vetro extrachiaro, spessa cm. 2,4, è prevista in moduli smontabili da ml. 1,5 come la passerella, onde evitare lo sfrido nel taglio delle barre di ml. 6,00, ed è fissata per punti alle testate libere delle travi in vetro. Per l’occasione è stato attuato un sistema di verifica della resistenza di tale elemento, che prevede anche una minima deformabilità sotto sollecitazione, e un ritorno all’assetto originario. La balaustra in vetro, partendo dal bordo della passerella, sottoposta di 40 cm. Rispetto al calpestio della navata, risulta addirittura più bassa dei sedili delle panche e non ‘pesa’ visivamente nella navata, attirando l’occhio all’interno del vuoto, verso i reperti archeologici, che partecipano della complessiva spazialità della chiesa.

Non essendo state trovate tracce del pavimento originario, quest’ultimo è stato realizzato in cocciopesto, con spessore variabile da 7 a 12 centimetri a causa della pendenza del calpestio della chiesa, in lieve salita dall’ingresso all’altare, predisponendovi un riscaldamento a serpentina. Si è, così, ottenuta una superficie ricca ed esteticamente compatibile con i reperti scultorei e pittorici superstiti della chiesa. Le pareti sono state, analogamente, trattate con toni cromatici compatibili con i residui apparati decorativi. Questi ultimi, in più parti mancanti a causa dei furti e delle spoliazioni perpetrati nel corso di decenni di abbandono del monumento, sono stati riconfigurati a stucco, riproponendo un semplice inviluppo volumetrico, onde non tradire il ritmo della successione di elementi che, oltre al pregio decorativo, costituivano anche importanti contrappunti della complessiva spazialità del monumento. L’insieme è un vero e proprio palinsesto, riunificato dall’intervento di restauro.

Su una pedana lignea perimetrale montata sul pavimento in cocciopesto, sono collocate le panche in legno. Di queste ultime, quelle disposte parallelamente ai lati più lunghi del vuoto, divise in moduli da due posti, possono essere disposte in due diversi orientamenti mediante rotazione manuale su un perno di acciaio munito di blocco. In posizione trasversale, un meccanismo consente di ruotarne gli schienali come piano di lavoro per chi siede sulla panca retrostante. La dimensione, il numero e la disposizione delle panche è determinata dalla larghezza del piano di lavoro e dalla larghezza della pedana (ml. 1,40), a sua volta condizionata dalla dimensione del percorso laterale (ml. 1,20). La logica compositiva di tali elementi d’arredo e la stretta dipendenza del loro dimensionamento dalle misure dell’invaso interno, ne fa degli elementi architettonici oltre che di semplice arredo, non separabili dalla configurazione dei percorsi e dello spazio complessivo. Le panche in prossimità dell’ingresso e dell’altare maggiore sono fisse e interrotte al centro, onde consentire la continuità visiva dell’asse che idealmente congiunge l’ingresso principale con l’altare, che in ogni chiesa rappresenta il percorso della vita cristiana e qui collega anche, in una ideale ricucitura storica, l’intero percorso della città.

CREDITI

Committente: Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia

Progetto fasi di restauro: Arch. Ugo Carughi, Prof. Arch. Luigi Picone

Progetto sistemazione architettonica: Arch. Ugo Carughi

Direzione Lavori: Arch. Ugo Carughi

Collaborazione alla progettazione : Arch. Marco Russiello, Arch. Rosalia D’Apice

Strutture: Prof. Ing. Mario Migliore, Ing. Donato Cardano

Impianti: Ing. Domenico Mascolo

Responsabile per la sicurezza del cantiere in fase di progettazione ed esecuzione: Arch. Barbara Picone

Collaudo strutturale: Prof. Ing. Francesco Paolo Russo

Collaudo tecnico amministrativo: Arch. Mariateresa Minervini

Indagini e restauri archeologici: Dott. Daniela Giampaola

Restauri opere pittoriche e marmoree: Dott. Marina Santucci, Dott. Angela Schiattarella

Ricerca, classificazione, schedatura e ricostruzioni: Giuseppe Giordano e Melina Pagano (R.O.M.A. Consorzio)

Principali imprese realizzatrici: Materazzo ing. Lucio srl, 3F snc di Fusco Vincenzo, Levante Serramenti srl

ALBUM

Disegni di progetto

Condividi articolo
Facebook
LinkedIn
Email
WhatsApp
Articoli correlati

Ultimo numero di thema

BACHECA THEMA

Newsletter Themaprogetto.it

Rimani aggiornato su tutte le attività del portale e della rivista THEMA

error: Avviso:Questo contenuto è protetto