Una città come Mexico City è ormai annoverata tra le megalopoli, visto la crescita esponenziale dei suoi abitanti (circa 9 milioni a oggi), che si accalcano prevalentemente negli slums senza limiti della città informale.
Eppure, infiltrandosi tra gli interstizi della città compatta, con una buona presenza di spazi verdi, è possibile scovare alcuni capolavori del Moderno: tra questi vanno annoverate senz’altro tre chiese caratterizzate dalla visione strutturale di Félix Candela.
Félix Candela Outeriño (Madrid, 27 gennaio 1910–Durham, 7 dicembre1997) è stato un architetto spagnolo – naturalizzato messicano – che ha lavorato su una concezione spaziale assegnata innanzitutto a sottili strutture innovative in cemento armato.
Dal 1949 al 1953 sviluppa numerose occasioni di lavoro e comincia a testare il funzionamento dei gusci sottili in cemento armato con atteggiamento intuitivo e sperimentale: prima con una volta funicolare sperimentale sulla falsariga di prototipi inglesi realizzati durante la Seconda Guerra Mondiale, successivamente progettando una copertura per rimessa di pulmann.
Nel 1953 diventa direttore del dipartimento di architettura presso l’Università di Città del Messico, dove si era trasferito nel 1942.
Fra il 1953 e il 1960 realizza tre chiese nella capitale messicana che declinano in modi diversificati ma analoghi il tema strutturale denominato HYPAR (guscio iperbolico-paraboloide).
Il guscio iperbolico-paraboloide è una superficie rigata doppiamente curvata: con un adeguato supporto, le sollecitazioni nel calcestruzzo saranno limitate e sarà necessaria solo una leggera rete di rinforzo in acciaio. Questo rinforzo serve per resistere alle sollecitazioni di trazione e per limitare le fessurazioni, effetti di ritiro e di temperatura nel calcestruzzo. Le forze di compressione seguono la curvatura convessa (azione ad arco), mentre le sollecitazioni di tensione seguono la curvatura concava (azione di sospensione).
Da un punto di vista della semplificazione costruttiva, in assenza dell’odierno procedimento digitale parametrico, la proprietà determinante del paraboloide iperbolico risulta essere che, pur essendo una superficie curva, può essere costruito con linee rette.
Una tecnica messa a punto da Candela e successivamente celebrata da Santiago Calatrava.
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1953-1955 Chiesa de la Virgen de la Medalla Milagrosa, Ixcateopan, con gli architetti Arturo Sanz de la Calzada e Pedro Fernández Miret, collaborazione strutturale Juan Antonio Tonda
La pianta si incanala nel solco della tradizione a tre navate, reinterpretata con una speciale plasticità dello spazio interno il cui espressionistico slancio verso l’alto rimanda – prima ancora che al gotico – alla cappella realizzata da Gaudì per il Collegio Teresiano di Barcellona, i cui spazi interni erano collegati da corridoi scanditi dal succedersi regolare di diaframmi parabolici.
Nella chiesa di Candela la copertura a guscio a “ombrelli invertiti” che tutto avvolge ha uno spessore costante di 4-5 cm.: la leggerezza è dovuta non tanto a una volontà formale quanto a evitare pesi eccessivi su un terreno di fondazione a bassa capacità di carico, come nel caso della colonia Vertiz Narvarte. La singolare forma delle colonne è stata disegnata intuitivamente a seconda dei carichi assegnati.
La navata principale è alta mt. 20, mentre le secondarie sono alte mt. 8,50: nello spazio centrale sono le panche in legno rivolte verso l’altare per le cerimonie religiose, in quelli laterali le cappelle e il coro. Il pavimento è allo stesso livello, tranne quello dell’altare cui si accede tramite due gradini.
Il presbiterio presenta uno schermo di forma triangolare rivestito in mattoni che incornicia lo scrigno dorato con le statue della Madonna e degli angeli.
All’interno oltre al cemento armato, materiali ricorrenti sono il mattone rosso sulle pareti, il cedro rosso per porte e arredi, elementi in ferro.
Le soluzioni dei prospetti esterni puntano a uno stacco dalle costruzioni preesistenti: l’ingresso avviene attraverso un atrio di dimensioni ridotte. Il campanile è una sorta di avamposto verso la strada e svetta con la sua altezza e le sue forme, segnate anch’esse dalla tecnica costruttiva congeniale al progettista.
Il progetto delle vetrate della chiesa è dell’architetto José Luis Benllure.
1955-1958 Chiesa di Nostra Signora della Solitudine “El Altillo”, Coyoacàn, con gli architetti Enrique de la Mora y Palomar e Fernando López Carmona
In questa architettura il progetto sembra mostrare carattere di grande semplicità, con l’obiettivo di avere un’aula sacra unitaria e senza appoggi della copertura. Questa ha le forme di un paraboloide iperbolico unico dello spessore medio di cm. 5: con un gesto splendidamente unitario, una doppia ala copre e protegge l’intera chiesa.
Il volume dell’edificio sacro sfrutta la pendenza del terreno, presentandosi più compatto da un lato e svettando maggiormente dall’altro.
Il carattere decorativo principale esterno viene offerto dal rivestimento in lastre di pietra lavica grigia a opus incertum, in contrappunto con gli infissi lignei: dalla tessitura megalitica della parete si slanciano a sbalzo i gradini rastremati in calcestruzzo armato delle scale simmetriche poste ai lati dell’ingresso che salgono di un livello e danno accesso al coro e alle coperture delle pensiline che convergono sull’atrio di ingresso.
All’interno il tema decorativo dominante è senz’altro la grande vetrata (opera di Herbert e Kitzia Hoffman) dal disegno astratto che fa da fondale luminoso e colorato – con i toni dell’ambra e del blu – all’altare e alle celebrazioni in essere.
Altra originale opera d’arte è costituita dalla Via Crucis apposta in rilievo sull’intonaco bianco della parete esterna del volume annesso alla chiesa, cui si accede al coperto seguendo uno dei due rami delle pensiline.
Nel piano interrato è strutturata una cripta con luce naturale che “bagna” il presbiterio, luogo di devozione e pellegrinaggio, conservando i resti della Venerabile Concepción Cabrera de Armida.
L’intero complesso parrocchiale, semi-nascosto dalla folta vegetazione, è aperto al pubblico, in particolare giovanile, presentando anche attrezzature sociali come una palestra e una biblioteca.
1959-1960, Cappella di San Vincenzo de’ Paoli, Coyoacàn, con gli architetti Enrique de la Mora y Palomar e Fernando López Carmona
I tre paraboloidi iperbolici della copertura – in cemento armato sottile – fluttuano in aria, appoggiandosi in forma puntuale su due vertici. La connessione tra gli Hypar è realizzata con barre di metallo e ricorda i lacci di un corpetto ottocentesco e le maglie tese di una copertura a membrana. In effetti Candela si è dichiaratamente ispirato al copricapo delle monache della congregazione di San Vincenzo de’ Paoli.
Questa citazione formale ha dato il via alla realizzazione di una collezione di cappelli femminili con riferimento formale alle opere dell’architetto ispano-messicano.
La scelta di decorazione dello spazio sacro interno è giocata sulla relazione tra le vetrate trasparenti “sollevate” dal librarsi delle ali della copertura (che rendono molto luminoso lo spazio interno, malgrado il volume della chiesa sia incuneato in un’area di Mexico City densamente costruita) e le fasce vetrate superiori colorate, tessute negli interstizi di connessione tra i paraboloidi.
L’arredo interno è in legno così come la balconata del coro che sormonta l’ingresso contrassegnato dai confessionali disposti ai due lati. Il pavimento è in piastrelle di pietra disposte a spina di pesce.
L’ostensorio è una opera d’arte poggiata su un monolite in pietra cui si accede tramite alcuni gradini.
Una scala in cemento armato presenta struttura portante costituita da due travi ruotate a novanta gradi e gradini rastremati della stessa fattura della Chiesa di Nostra Signora della Solitudine “El Altillo”.
«Nel costruire siamo arrivati, per fortuna, alla fine del lungo tempo delle analisi. Le idee che sono servite fin qui hanno raggiunto il loro pieno sviluppo e sarebbe assurdo continuare a usarle, se vogliamo credere ai sintomi, noi siamo alla vigilia di una nuova era di creatività. Gli architetti dovrebbero evitare il compiacimento se vogliono riprendere il loro ruolo di costruttori perché non c’è in fondo bisogno di avere così tanta scienza, ma anche talento e intuizione » (Félix Candela, 1956).
Carlo Pozzi