Mi sono imbattuto in un testo di trent’anni fa – 1994 – firmato da Álvaro Siza per la presentazione della tesi di laurea dell’allievo Roberto Cremascoli. Il maestro scrive: «La pratica dell’architettura deve essere Allegria, un’allegria che possa contaminare gli spazi». La citazione non finisce qui, ma confesso che la copertina di Thema 16 mi ha sin dal primo istante ricondotto a questa gioia contagiosa. Ne abbiamo una sete inesauribile ed è particolarmente facile smarrirne il ricordo. Vi sono infatti pratiche, persino architettoniche o artistiche, che hanno smarrito l’allegria. Questa espressione rinvia a una leggerezza non sciocca, perché contrasta l’appiattimento del banale e libera dalla pesantezza delle vie obbligate. «Per questo l’iniziazione in architettura – continua il Siza – comincia attraverso la conquista di un guardare attento e disinibito, che sia in grado di correggere la percezione globale e nebulosa per mezzo dell’analisi». È anche la scommessa di una rivista come questa, che innesta i propri sforzi su una storia di editoria attenta e disinibita, tesa a risvegliare e a collegare gli sguardi. Il bello e il buono emergono, sin dal canto biblico di Genesi 1, dal caos informe attraverso la luce di uno sguardo che distingue ciò che non è ancora e lo chiama a essere, tagliandolo dall’indistinto. Nuovi vincoli, infiniti legami sorgono da quel taglio, in un permanente venire alla luce.
Siamo coinvolti in questo processo di cui l’umanità è figlia e custode, tradendo il quale le tenebre ritornano, i nomi si perdono e tutto è rapidamente distrutto. Abbiamo gli occhi pieni di città devastate, di architetture disintegrate, di ambienti naturali violati. Ci occorrono pratiche gioiose, che rappresentino una correzione della percezione, maturino «nell’individuazione del dettaglio ed infine nel dialogo». Secondo il grande architetto portoghese, la scommessa sta nell’«Applicare questo primo passo della formazione alla pratica progettuale, all’invenzione (nella difficoltà di far convergere lo sguardo dei nostri due occhi fin da subito simultaneamente) trovata per tentativi successivi, in grandi cerchi intorno al processo del progettare, mutando le immagini e la distribuzione delle funzioni fino alla serenità, alla densità e al silenzio della Architettura».
Al lettore che si accosta a queste pagine possa giungere il riverbero di invenzioni antiche e nuove, portatrici di serenità, densità e silenzio. Queste tre parole paiono venire a noi dai luoghi, attraverso la potenza della fotografia e la lucidità degli scritti. La vita e soprattutto le regole di un mercato impazzito ci inducono a uno strabismo cui Siza oppone la convergenza sul bello che nessun interesse può asservire. Ciò che produce allegria è soltanto il gratuito che traspare nelle vere imprese, in quei processi creativi in cui il lavoro umano è degno e suscita dignità. È questo il sacro, il radicalmente nuovo, in cui la differenza umana brilla di cura e offre riposo. Da un coro di notte alla trascendenza nella vita urbana, dalla terra che trema al rapporto fra copertura e stelle, questo numero di Thema sia coi suoi contributi un contagio di allegria. Editoriale di Sergio Massironi
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